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Verso la Festa del Lavoro 2024

(di Edoardo Patriarca, presidente nazionale ANLA) "La nostra Carta indica il diritto al lavoro che, a ben vedere, è un altro modo di declinare la dignità umana, fatta di realizzazione personale e di strumenti di sostentamento, sulla strada della felicità. Questo è un impegno impresso come incipit nella nostra Costituzione e ripreso nei primi quattro articoli con una  chiarezza e una forza eccezionali." Il lavoro come via verso la felicità, è una immagine forte e coraggiosa quella che il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ci indica, una immagine che provoca e invita all'impegno affinché il lavoro, indicato come fondamento della Repubblica, sia effettivamente la via per la piena realizzazione personale. 

Si avvicina il 1 maggio, Festa del Lavoro, saremo chiamati a partecipare alle cerimonie della consegna delle Stelle al Merito del Lavoro che si terranno nelle Prefetture di ogni Provincia. Perché non sia solo una celebrazione "dovuta" o infarcita di retorica, la nostra Associazione da anni propone riflessioni sul mondo del lavoro, di speranza da una parte e  di fermezza dall'altra nel denunciare le storture che impediscono al lavoro di essere una delle strade per realizzare un po' di felicità nella vita delle persone, soprattutto delle giovani generazioni. 

È nostra intenzione dedicare al tema lavoro i prossimi approfondimenti, da qui al 1 maggio. Per iniziare, partiamo dall' analisi degli ultimi dati sugli andamenti del mercato della lavoro che Istat e altri istituti di ricerca ci hanno consegnato.

Il primo dato che ha sorpreso  gli osservatori più attenti è l' incremento occupazionale, il più alto degli ultimi decenni,  che se  fa ben sperare per i futuri assetti del Paese in realtà nasconde un "lato oscuro" che è bene approfondire. Mi riferisco al divario tra l'aumento dei posti di lavoro e quello assai più modesto del PIL, divario che segnala un elemento di criticità che merita di essere affrontato e posto alla attenzione della politica e delle organizzazioni sociali. Cresce l'occupazione, crescono i contratti a tempo indeterminato, cresce il numero delle ore lavorate, ma se approfondiamo scopriamo che per la gran parte si tratta di lavoro povero e che la produttività complessiva del sistema economico rimane tuttora la più bassa tra i paesi a più alto reddito. Due nodi, questione salariale e produttività, che non possono essere disgiunti e che per essere sciolti chiedono una capacità di confronto e di concertazione tra politica, organizzazioni imprenditoriali e sindacali  improntate sul principio del lavoro-bene-comune. So   bene che è una dizione consumata e abusata, ma non vi è altra via se vogliamo trasformare l'apparato produttivo italiano in un sistema più inclusivo, più sostenibile, meno ingessato e più aperto alla concorrenza,  e per questo capace di retribuire i lavoratori in modo degno.  

Fa scandalo non vedere rinnovati i contratti collettivi scaduti da anni, parliamo di milioni di lavoratori che  attendono un salario giusto, salari taglieggiati dalla terribile inflazione di questi ultimi anni. Riteniamo inoltre auspicabile che venga confermato anche per il 2025 la diminuzione della tasse sui salari (il cuneo fiscale), che si mettano risorse per  detassare i prossimi aumenti salariali e che si  fissi il minimo salariale di ciascun contratto nazionale maggiormente rappresentativo per tutto il settore di riferimento.

Ma non basta. I dati sul mercato del lavoro ci indicano l'altra via da intraprendere per incrementare la produttività del sistema, che certo attende  un quadro normativo più semplice, una burocrazia meno invasiva, una giustizia civile più efficiente, ma che chiede anche alle aziende di trasformare i propri modelli organizzativi spesso ancora legati agli schemi del secolo scorso che sappiamo hanno fatto il loro tempo.

Un esempio per capire. Un luogo comune ripetuto in convegni e approfondimenti è che i giovani sono meno disponibili al sacrificio: rifiutano orari troppo disagiati e il sabato lavorativo, e prediligono lo smart working. Le ricerche confermano questa tendenza, ma è davvero tutta colpa dei giovani? O anche di imprese che non sono per nulla attrattive e offrono salari sotto il limite della decenza? Lo scollamento tra le richieste dei giovani e la domanda di lavoro da parte delle imprese non è questione da affrontare seriamente in tutte le sue molteplici dimensioni? Le ultime ricerche svolte da istituti più che affidabili ci raccontano di questa trasformazione nella quale, per esempio, la logica del posto sicuro non è più dirimente come lo è stato per le nostre generazioni. Si cercano impieghi nei quali la conciliazione tra lavoro e vita privata sia più sostenibile; si guarda al clima aziendale, al prestigio e alla serietà dell'azienda; se vi sono percorsi di formazione e di innovazione, se vengono valorizzati talenti e competenze,  se esiste un buon welfare aziendale. 

Un sogno, o la via da intraprendere insieme per rifondare un sistema economico più attento alle persone? Le ricerche internazionali lo confermano: le aziende che hanno intrapreso questa via sono le più competitive e produttive, e pagano i propri dipendenti, tutti fidelizzati, con salari giusti.

 

 

 

(Crediti fotografici: iStock.com/KristinaJovanovic)

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