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Una rivoluzione culturale del concetto di cura

(di Edoardo Patriarca, presidente nazionale ANLA) Se la legge di bilancio verrà confermata come la leggiamo nei commenti della stampa, la legge 33/2023 contenente la "Delega al Governo in materia di politiche in favore degli anziani", rischia di rimanere lettera morta, non vedrebbero la luce i decreti attuativi previsti entro il 31 gennaio 2024 per mancanza di risorse. 

Lo ricordiamo, il provvedimento contiene tre principali deleghe: l'invecchiamento attivo, la promozione dell'inclusione sociale e la prevenzione della fragilità; l'assistenza sociale, sanitaria e sociosanitaria per le persone anziane non autosufficienti; le politiche per la sostenibilità economica e la flessibilità dei servizi di cura e assistenza a lungo termine per le persone anziane, anche non autosufficienti.

Sono in ritardo, è bene dichiararlo, tanto che ANLA ha firmato un appello al Governo insieme ad altre decine di enti di Terzo Settore. A parziale giustificazione, vi sembrerà un paradosso, c'è da dire che le politiche per gli anziani sono "giovani" e che il sistema istituzionale non ha preso ancora le misure nonostante le persone non autosufficienti nel nostro paese siano già quattro milioni, e che l'invecchiamento della popolazione, insieme alla bassa natalità, trasformeranno questo problema in emergenza. 

Gli obiettivi della Legge delega sono chiari, la nostra associazione in più occasioni li ha illustrati e approfonditi dedicandosi in particolare al capitolo "invecchiamento attivo". È una riforma che affronta l'età anziana con lo sguardo lungo ricucendo la storica divisione tra sociale, sanitario e assistenziale motivo del dissesto dell'assistenza, e distinguendo tra luoghi della cura e luoghi della vita. La presa in carico della persona anziana sarà della comunità locale che così amplia la gestione dei servizi di assistenza domiciliare oltre che sostenere la trasformazione delle Residenze: domiciliarità e residenzialità sono complementari nella rete dei servizi per un'assistenza di qualità centrata sulla persona e sul suo progetto di vita. 

Questo ultimo punto va chiarito per non innescare contrapposizioni inutili e controproducenti. Nella nostra società c'è tanta solitudine, un virus che fa ammalare perché il cuore di una buona vita sta nelle relazioni che fioriscono attorno alla persona, dei più fragili soprattutto.  Proprio per questo anni fa abbiamo compiuto due grandi rivoluzioni sociali abolendo gli orfanotrofi e i manicomi, ritenendo immorale tenere i bambini e i malati psichiatrici in istituzioni totalizzanti. Due rivoluzioni sociali alla base delle quali abbiamo posto il diritto di ogni persona di vivere in un ambiente familiare, per quanto possibile ricco di relazioni. Vale anche per gli anziani che vogliono abitare, finché possibile, nella propria casa o in strutture di comunità. Domiciliarità e residenzialità sono connesse tra loro, non contrapposte.

Ma non basta una legge pur ambiziosa, abbiamo bisogno di promuovere una rivoluzione culturale del concetto di cura. Qualche declinazione: non curare ma prendersi cura, integrando sociale e sanitario; non patologizzare ma aiutare la persona nel complesso delle sue fragilità; non medicalizzare perché prendersi cura non significa solo curare le malattie; non categorizzare la fragilità ma prenderle tutte in carico, con uno sguardo ampio e aperto; non dividere o frammentare la persona ma rispondere ai suoi diversi bisogni. Non ultimo, prendersi cura di coloro a cui viene affidato il compito della cura, un capitolo dimenticato.

I decreti attuativi della legge delega al momento sono ancora confinati nella categoria delle speranze, lo  diciamo con rammarico. I tavoli di confronto tra governo e associazioni sono tuttora in fase organizzativa nonostante le questioni da definire siano assai numerose. Ne accenniamo alcune: il riordino  e coordinamento delle attività di assistenza sociale sanitaria e socio sanitaria; il coordinamento delle risorse disponibili; la sostenibilità economica e la flessibilità dei servizi di cura e assistenza a lungo termine; le coordinate per dare avvio all'assistenza domiciliare sociale e sanitaria continuativa  - oggi  puramente prestazionale - di sostegno domestico agli anziani e ai loro familiari; le regole per il coinvolgimento del terzo settore e del volontariato diffuso che sono una  risorsa preziosa; la sinergia pubblico privato per attivare ogni possibile collaborazione in un periodo di forte carenza di figure professionali. Al momento purtroppo tutto sembra indefinito, ahimè prendono consistenza i dubbi di coloro che evidenziano le difficoltà a  far partire in così poco tempo una riforma veramente complessa.

Ma se non è possibile realizzare la legge su tutto il territorio nazionale per  mancanza di fondi ( si parla di almeno 7 miliardi) e di tempo, perché non avviare alcune sperimentazioni come propone Mons. Vincenzo Paglia presidente della Commissione per l'attuazione della riforma presso il Ministero della Salute?

 

 

(Crediti fotografici: iStock.com/ Ridofranz)

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