(di Edoardo Patriarca, presidente nazionale ANLA) Forse i dettagli non li conosceremo mai: Gene Hackman, 95 anni con Alzheimer avanzato, sarebbe rimasto solo per una settimana dopo la morte della moglie Betsy Arakawa, entrambi deceduti per cause naturali, lui per malattie cardiache, lei per una rara malattia virale. Una coppia ricca e benestante, Hackman un grande interprete del cinema con due premi Oscar. Come è stato possibile che per quasi 15 giorni nessuno si sia allarmato e preoccupato non avendo alcuna notizia? Come può accadere che i tre figli, pur dichiarando di essere in buoni rapporti con un padre gravemente malato, non lo sentivano da mesi?
Attorno a questa triste vicende si sente un retrogusto amaro di solitudine e abbandono. La vicenda è analoga a tante altre storie che coinvolgono persone anziane e non solo quelle. Le solitudini toccano oggi, dopo la pandemia, anche migliaia e migliaia di adolescenti, una solitudine voluta ma che nasconde una profonda povertà di relazioni sociali, affettive e sentimentali. Accanto ai coronavirus forse dobbiamo annoverare altre forme virali più nascoste, più sotto traccia, apparentemente meno pericolose e dannose, non trasmissibili ma incubatrici di quella povertà sociale che avviluppa il tempo attuale.
Un virus che si chiama solitudine e fa morire il cuore sotto l'incudine del tempo cronologico. Ne abbiamo parlato in altri momenti di riflessione, è il tempo che scorre ma non avanza e non possiede alcuna forma conclusiva; tanto efficiente da non ammettere pause e non riuscire a bucare l'ossessività del presente; non indugia né si sofferma su alcunché, rattrappisce le relazioni, le svuota con un ritmo della vita senza speranza, lineare e abitudinario o virtuale, come accade oggi a molti adolescenti: l'altro è una immagine e non un volto da toccare, un labiale e non una parola da ascoltare per davvero. La cura e la premura spariscono dall'orizzonte quotidiano, si può andare d'accordo ma non comunicare per mesi come hanno dichiarato i figli di Gene Hackman. Questo è il tempo cronologico, "tempo sprecato" che non fa guadagnarne altro tempo della vita.
La solitudine non è sempre una maledizione: c'è quella buona che ci guida per tornare su noi stessi, per riscoprire la profondità e l'essenza della vita come ci viene descritto nelle pagine del Vangelo in questo tempo di Quaresima quando Gesù, prima di intraprendere la vita pubblica, sceglie di ritirarsi nel deserto per 40 giorni. Sono momenti nei quali comprendiamo l'Oltre che circonda l' esistenza, la bellezza delle relazioni con i cari e gli amici, i doni che riceviamo gratuitamente oltre la logica del do ut des, lo stupore che leggiamo nel sorriso dei nipoti. È bello "perdere tempo" così, perché ne guadagnamo di più, tanto di più.
Lo stesso vale nel fare associazione: il tempo cronologico, quello sprecato, è quello dei formalismi, dei ruoli per conquistare una piccola posizione, o un titolo da porre davanti al proprio nome. Il "tempo perso", al contrario, è quello che ne fa guadagnare altro, è quello delle relazioni buone, della condivisione e del progettare insieme, del tessere legami e ripararli quando si sfilacciano e rischiano di rompersi definitivamente.
(Crediti fotografici: iStock.com/ CandyRetriever)
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