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Un nuovo Patto Sociale

(di Edoardo Patriarca, presidente nazionale ANLA) I dati sul mercato del lavoro diffusi da Istat alcuni giorni fa sono apparsi in prima lettura interessanti e forse inaspettati. Ci dicono che è cresciuto il numero degli occupati, oltre 400 mila rispetto all'anno precedente, un  aumento del 2% sul totale degli addetti; che il tasso di disoccupazione è al 7,2%, il dato più basso negli ultimi 15 anni, e che la disoccupazione giovanile è al 20,1%, anche questo il dato più basso dal 2007. 

Ma una lettura più attenta dei dati disegna scenari meno ottimistici, emergono le contraddizioni di sempre del nostro mercato del lavoro. Ne accenno alcune. 

Aumenta l'occupazione ma aumentano gli inattivi molti dei quali scoraggiati nella ricerca di un lavoro. Il Pil cresce di poco più dello 0,7% e il potere d'acquisto reale dei salari continua a ridursi per l'inflazione, anche se meno dell'anno scorso. Sale  l'occupazione maschile mentre diminuisce quella femminile da sempre penalizzata, il divario nord sud non mostra alcuna riduzione e conta un 1 milione di giovani che si sono trasferiti al Nord o all'estero. L'aumento di occupazione riguarda quasi sempre lavoro povero; rimane irrisolta la questione delle competenze, cioè il gap tra domanda e offerta: mancano i profili richiesti, il lavoro ci sarebbe ma non si riesce a coprirlo sebbene l'Italia abbia il numero più  alto tra i paesi europei di giovani che non studiano e non lavorano.

A queste fragilità si aggiunge la crisi demografica che significherà nei prossimi anni l'uscita dal mercato di più lavoratori rispetto a quelli che vi entreranno, saranno i lavoratori a scarseggiare piuttosto che i posti di lavoro a disposizione. Un fenomeno che già osserviamo con preoccupazione: ad oggi sono decine di migliaia di professionisti e lavoratori che mancano nella sanità,  nei servizi di cura alla persona,  nella ristorazione, nel turismo, nella logistica. 

Cosa non funziona nel sistema Paese? Perché la nostra produttività media non cresce o cresce assai meno rispetto agli altri paesi europei? Come ridurre le debolezza di fondo? I dati  ce lo confermano: la produttività è aumentata nel manifatturiero ma meno nei servizi nei quali da sempre l'innovazione è minore, tanto da incidere sul livello complessivo degli investimenti che tende ad essere più basso rispetto ad altri   paesi OCSE. 

Ma torniamo alla domanda di prima: come se ne esce fuori? 

Vi proporrò alcuni punti, tra l'altro affrontati ampiamente nei nostri seminari di formazione di questi anni, nella rivista Esperienze e nelle Newsletter settimanali. 

Il punto di partenza è la nostra difficoltà ad investire sul medio lungo termine e a dare una visione al sistema economico e sociale del Paese per i prossimi 20 anni. Un clima che manca da tempo, soffocati dalle emergenze e da politiche del giorno dopo giorno. Lo proponemmo nella celebrazione del primo maggio del 2022: un nuovo patto sociale, una alleanza per uno sviluppo equo e sostenibile che vedano coinvolti tutti i protagonisti che "fanno mercato del lavoro": imprese, lavoratori, istituzioni e Terzo Settore.

I punti da mettere in agenda sono noti e ampiamente approfonditi.

Per primo la costruzione di percorsi rinnovati di formazione alle competenze affinché la scuola torni ad essere un ascensore sociale e non fattore di disuguaglianza. Il tempo della formazione e  del lavoro che giungerà, siano parte di una unica filiera: l'orientamento è questione cruciale se intendiamo valorizzare seriamente  i talenti di ognuno, vanno rafforzati l'istruzione tecnico professionale e gli ITS, le materie STEM nelle Università e l'apprendistato duale... Sul fronte impresa andrebbero disboscati sussidi e agevolazioni a pioggia; abbiamo bisogno di una fiscalità premiante le imprese più efficienti e innovative, impegnate nella sostenibilità ambientale e sociale. 

Per secondo, le imprese e i sindacati siano protagonisti di una stagione di contrattazione collettiva nazionale e territoriale che garantisca salari degni (il fenomeno dei lavoratori poveri e del part time involontario sono inaccettabili), modelli organizzativi attenti alla conciliazione lavoro vita, un clima aziendale positivo, politiche di welfare e offerte di formazione al passo con i tempi. 

Non ultimo: riduciamo la forbice tra lavoratori ad alta qualifica e quelli a bassa. Nel nuovo Patto andrà compreso anche il Terzo Settore imprenditoriale (fondazioni, enti, cooperative, imprese sociali, start up...),   l'unico soggetto (lo fa già!) che potrà   animare politiche del lavoro davvero inclusive per coloro che saranno impiegati  nella fascia bassa del mercato del lavoro, e per coloro che per cause personali o sociali "non sono occupabili". A tutti vanno garantiti salari e una vita lavorativa degna di questo nome come prevede la nostra Carta Costituzionale. Continuiamo a credere, come spesso abbiamo dichiarato, che il lavoro è la persona, la sua vita, i suoi progetti. E questo deve valere per tutti.

 

 

 

(Crediti fotografici: iStock.com/ metamorworks)

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