(di Edoardo Patriarca, presidente nazionale ANLA) Il rapporto della Caritas "Tutto da perdere" presentato venerdì scorso a Roma racconta, anche con dati raccolti sul campo, storie e testimonianze che ci portano alla radice della miseria dei molti connazionali che vivono nelle nostre città, spesso nell'indifferenza generale.
I numeri di Istat del 2022 lo testimoniano in maniera impietosa. Sono 5,6 milioni i poveri assoluti, in crescita di 357.000 unità rispetto 2021, quasi il 10% della popolazione; il 33,2% dei nuclei familiari in povertà sono composti da famiglie di solo componenti stranieri; il 47% del totale hanno capifamiglia che lavorano ma con un reddito insufficiente per uscire dall'indigenza; oltre 250 mila persone sono state costrette a rivolgersi a mense ed enti parrocchiali per sfamarsi, per pagare le bollette o anche solamente per farsi ascoltare.
Ma il dato che più fa trasalire è il milione e 270.000 minori che si trovano in condizioni di miseria. Dato drammatico, inconcepibile per un paese che siede nel G7, e che dovrebbe mobilitare le nostre coscienze e quelle di coloro che hanno una responsabilità di servizio pubblico.
La cifra squaderna due scenari pesanti entrambi. Quello dell'oggi: una povertà che colpisce i bambini e le bambine nega una vita buona e abitazioni sane, una istruzione degna di questo nome, una alimentazione corretta e un tempo davvero libero. E quello futuro: perché fra una quindicina di anni questi bambini saranno adulti che quasi certamente si aggiungeranno alle fila dei bisognosi. Una affermazione che vi sembrerà dura, ingiusta e pessimistica. Ma la realtà dei dati Istat racconta questo, ci piaccia o non ci piaccia. Questi giovani adulti avranno peggiori condizioni di salute e maggiori difficoltà a trovare lavoro, avranno pochi strumenti culturali a disposizione per modificare la propria traiettoria di vita. Spiace dirlo, nel nostro paese non si eredita solo la ricchezza ma oggi, ancor di più, si eredita la povertà della propria famiglia. Se nasci in una famiglia in difficoltà è quasi certo che sarai anche tu in povertà un domani.
E la povertà, a differenza della ricchezza, si sta ampliando a ceti sociali che fino a poco tempo non ne erano minacciati, sono sempre meno coloro che si sentono al sicuro. Sono 1/3 gli adulti oggi a rischio di povertà, quasi 14 milioni, un dato record in Europa, un dato che non ci fa onore. Affermare che la povertà si eredita vi sembrerà una affermazione esagerata, sgradevole e provocatoria rispetto ai miti a cui siamo stati abituati nei decenni scorsi: dell'uomo che si fa da solo, che se sei bravo e ti impegni ce la farai, che se sei povero è colpa tua. I dati Caritas li smentiscono: il 60% degli assistiti in condizione di precarietà economica provengono da famiglie già seguite dalle parrocchie, o da genitori che erano in difficoltà negli anni passati.
Di fronte a questi elementi non basta solo indignarsi, dichiarare vicinanza e solidarietà, o cavarsela chiamando all'appello la discrezionalità del nostro buon cuore o quel conservatorismo compassionevole di certo filantropismo che non si pone il problema di modificare il contesto.
Come spezzare questa perversa catena intergenerazionale della povertà? Non è giunto il tempo di politiche e azioni sociali che impiantino nuovi modelli di welfare per davvero di comunità? Di politiche che sviluppino il principio di sussidiarietà soprattutto a livello locale? Se la povertà è una condizione dalle mille sfaccettature, multidimensionale come si usa dire, non sono maturi i tempi per agire a livello territoriale una coprogrammazione che coinvolga il Terzo Settore, la cittadinanza attiva, le imprese? Sul piano nazionale non va posta una domanda semplice semplice: questi dati sono stati raccolti in un anno che vedeva ancora in vigore il reddito di Cittadinanza, qualche domanda sulla sua reale efficacia non è giusto porla? Come pure qualche domanda anche sul nuovo strumento approvato dal governo attuale. E vorremmo parlarne senza i paraocchi delle ideologie da bar, senza slogan ad effetto, ma con serietà e competenza perché di mezzo ci sono le persone, il milione e più di bambine e bambini. Ultima raccomandazione che prendo da un detto latino a me molto caro : "festina lente", affrettarsi lentamente. Le politiche sociali hanno bisogno di visioni chiare, di verifiche e monitoraggi costanti, e di tempi lunghi per dispiegare i propri effetti. Ripartiamo senza indugi, festina lente, appunto.
(Crediti fotografici: iStock.com/ Paola Iamunno)
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