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Stato e mercato?

(di Edoardo Patriarca, presidente nazionale ANLA) Agli albori del nuovo secolo festeggiavamo la fine della storia, un pianeta finalmente pacificato, proiettato sulle magnifiche sorti e progressive. Ci abbiamo creduto in tanti, ricordo il clima che si respirava allora e le celebrazioni del capodanno 2000. Ma con l'attentato alle torri gemelle del 2001, la grande recessione scatenata nel 2008 dalla bolla dei mutui sub prime, la crisi dell'eurozona del 2012, la pandemia del 2020 e ora gli effetti dell'invasione russa dell'Ucraina, ci è cambiato davvero il mondo, tutto nel volgere di un ventennio. Non accadeva da decenni, almeno dagli anni '70 che videro la crisi energetica, i piani di austerità, le guerre arabo israeliane, la costruzione delle centrali nucleari e un mondo industriale costretto a ripensarsi. Come accade allora anche le crisi di questo inizio secolo hanno  implicazioni profonde sulla vita delle persone e delle comunità.

Vorrei soffermarmi su un aspetto che ha coinvolto e interpellato la politica, l'economia e la società civile da sempre:quel binomio stato-mercato tanto discusso e controverso. Negli anni '80 e a seguire, il confronto culturale e politico conveniva sul progressivo ridimensionamento del ruolo dello Stato a vantaggio della funzione  dello scambio di mercato. Molti sono   stati conquistati dall'idea che per ogni problema, non solo in ambito economico ma anche sociale, sarebbe stato possibile trovare una soluzione efficiente affidandosi al libero gioco della domanda e dell'offerta. Insomma, meno lo stato si intrometteva meglio era: solo dall'iniziativa privata e dalla innovazione collegata alla capacità imprenditoriale ci si poteva aspettare una risposta all'altezza della complessità. Questa è stata a lungo la convinzione dominante di fronte ad uno stato troppo burocratico e mal funzionante,  per di più occupato dai partiti. Ricordate lo slogan "meno stato più mercato"?

Poi, di colpo, il susseguirsi di una crisi dopo l'altra hanno riportato lo stato al centro della scena. Il mercato lasciato nelle mani degli "spiriti animali" (espressione coniata da J.M. Keynes) del capitalismo ha mostrato i suoi limiti, sono cresciute le disuguaglianze, la crisi climatica è conclamata, le guerre e le carestie sono sparse su tutto il pianeta. È tornato ad essere evidente che per affrontare queste crisi globali l'autorità dello Stato serve: altrimenti non sarebbe possibile il salvataggio di banche e aziende in difficoltà, il sostegno ai redditi dei lavoratori, il contrasto alla diffusione di epidemie e alle conseguenze di una guerra alle porte di casa. Parrebbe che il pendolo sia davvero tornato a muoversi in direzione della politica e dell'azione pubblica. Ma è questa la prospettiva che si apre dinanzi a noi? Ed è questa la via che garantirebbe più futuro alle nuove generazioni? Davvero l'unica logica che governa il futuro è l'accettazione rassegnata del bipolarismo  tra due attori stato e mercato ancora sulla scena nonostante i rispettivi fallimenti?

Certo, oggi il potere dell'autorità pubblica appare di nuovo centrale grazie ai piani straordinari di rilancio finanziati dalla Ue o all'esercizio di poteri di regolazione che condizionano  la vita delle persone e come è accaduto durante i lockdown indotti dalla pandemia. 

Ma lo scenario che si para davanti a noi è del tutto nuovo, sbaglieremmo se pensassimo di ritornate alle vecchie logiche che hanno governato il ventennio delle emergenze continue. Per ridare speranza e "amare quello che sarà" è necessario rigenerare un clima di fiducia sociale diffuso e radicato, riconoscendo e valorizzando tutte le energie  che animano la vita dei nostri territori. Un nuovo disegno che strutturi il rapporto tra terzo settore, imprese e pubbliche amministrazioni su modelli cooperativi costituiti sulla condivisione  e sull'apporto delle competenze di ciascun singolo attore. Serve   una visione pluralista e democratica che gestisca una complessità che è nella logica del tempo che viviamo. Gli strumenti dell'amministrazione condivisa, della coprogrammazione e coprogettazione vanno sperimentati convintamente: la democrazia e la cittadinanza sono faticose ma più generative, più delle decisioni prese in pochi e dall'alto. E noi di Anla che c'entriamo? C'entriamo ogniqualvolta stringiamo rapporti positivi con le amministrazioni pubbliche e con le imprese, ogniqualvolta esercitiamo una cittadinanza operosa e diamo testimonianza pubblica. 

 

 

(Crediti fotografici: iStock.com/ somchaisom)

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