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Sicurezza

(di Edoardo Patriarca, presidente nazionale ANLA) Una parola entrata di forza nel dibattito pubblico sociale e politico è sicurezza. Se ne parla da molte settimane sui media, motivo di scontro politico anche in Parlamento. Non v'è dubbio che in questi ultimi mesi abbiamo assistito ad un crescendo di tensioni politiche e sociali. Ci si aspettava una maggiore unità di intenti da parte delle Istituzioni e delle organizzazioni sociali nell'abbassare toni, scontro ideologico e prese di posizione che definire poco sagge è dire poco. Non abbiamo bisogno di rivolte sociali, non abbiamo bisogno di scudi penali per le forze dell'ordine che invece vanno messe nelle condizioni di operare per il meglio, per il bene e la sicurezza delle comunità.  

Cerchiamo di dare una cornice di significato, coerente con il nostro ordinamento, alla parola sicurezza. Anzitutto il diritto alla sicurezza appartiene a quei diritti fondamentali che tutelano la vita, la dignità della persona e il benessere di tutti. È un tema fondante della nostra democrazia, soprattutto per i ceti più poveri e fragili, gli esclusi che spesso abitano le periferie delle nostre città. Se si vive nella paura, nel timore di non farcela, nella incertezza e nella precarietà, nella solitudine e nell'abbandono, non c'è vita degna, non c'è  futuro. Sicurezza  va  quindi declinata in tutte le sue accezioni: fisica e sanitaria, sociale ed economica, non ultima anche ambientale (ad esempio, il disastro provocato dall'incendio di Los Angeles). Non è quindi un tema da affrontare solo come ordine pubblico, non basta incrementare il numero delle forze dell'ordine: non sarebbero mai sufficienti se aumentassero furti, rapine, manifestazioni violente.

Ciò nonostante, negli ultimi anni in molti paesi democratici si è assistito ad un aumento di misure legislative che hanno privilegiato un approccio punitivo, si sono introdotti nuovi tipi di reato con un inasprimento delle pene e si è arrivati alla marginalizzazione di specifiche categorie sociali ipotizzando che alcune persone a causa della loro percepita pericolosità siano soggetti con minori diritti. La povertà non è un reato (la povertà colpevole) e non può essere ridotta a solo una questione di ordine pubblico. Senza un adeguato bilanciamento con politiche di inclusione e di prevenzione, si rischia di trasformare il nostro sistema penale in uno strumento di controllo sociale piuttosto che di giustizia sociale.  

Un approccio integrato dunque è necessario. Occorre promuovere il rafforzamento dell'azione di contrasto da parte delle nostre forze dell'ordine, le azioni di prevenzione - se necessario anche  di intelligence -, un dialogo fecondo tra prefetture e  amministrazioni locali, e al contempo politiche che affrontino le cause profonde del disagio: maggiore protezione sociale e riduzione delle disuguaglianze, riqualificazione delle aree più in difficoltà e inclusione di chi vive ai margini. 

Come Associazione auspichiamo che sui temi della sicurezza si trovi una convergenza di bene comune, con un approccio meno ideologico e di contrapposizione, e più azioni concrete e di attenzione ai reali bisogni delle persone e dei territori. 

 

 

 

(Crediti fotografici: iStock.com/ pixinoo)

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