(di Edoardo Patriarca, presidente nazionale ANLA) È accaduto a Monfalcone, nell'Istituto Sandro Pertini, un complesso scolastico frequentato da più di settecento studenti, un fiume di voci e di colori. Attraversato anche da 5 ragazze che vestono il niqad, identificate ogni mattina in uno spazio ad hoc voluto da una stimata dirigente scolastica, nel timore che l'imposizione del volto scoperto potesse indurre le ragazze a lasciare la scuola. Monfalcone, la città cantiere, è una città di 30.000 abitanti, di questi 9000 sono stranieri e con la metà dei bambini nati nel 2024 figli di genitori non italiani.
I media ne hanno parlato poco ed è stato un bene, non è questo il terreno per scontri ideologici soprattutto perché tocca lo spazio vitale dell'adolescenza già di per sé complesso. È piuttosto l'occasione per pensare il paese al futuro che vedrà nei prossimi decenni un calo di popolazione e probabilmente un aumento dei flussi migratori. La domanda che si sono posti in tanti, anche molti genitori di quell'istituto: qual è la misura giusta tra il rispetto delle proprie tradizioni di origine e quelle che si incontrano quando si giunge in un altro paese? E possibile che dall'incontro nascano nuove sintesi e convivenze che non mortificano le tradizioni locali ma le arricchiscono di nuove energie e nuovi saperi? Scommessa difficile ma avvincente.
Per iniziare mettiamo alcuni paletti: su questi temi a mio parere non esiste una neutralità indifferente che accetta comunque ogni diversità. Non è positivo avvallare interpretazioni fondamentaliste di stili di vita che spesso non hanno nulla a che vedere con il credo religioso. La pretesa di imporre il niqad è una di queste, contraddice anche le nostre norme, le nostre convinzioni più profonde. Perché nascondere il proprio volto? Una cultura sedimentata nei secoli che pone le donne e i loro corpi in una posizione subalterna non è compatibile con il cammino compiuto nel nostro paese ( fino all'avvento della Repubblica le donne non votavano, ancora oggi il gap di genere nel lavoro e non solo è tra i più ampi in Europa) e neppure con la resistenza di tante donne nel mondo ( come non ricordare le donne iraniane).
Le 5 adolescenti che vestono il niqad propongono una riflessione anche a noi. Se il corpo, e quindi un volto, non può essere umiliato e mortificato, in Occidente siano andati spesso in direzione opposta: l'esibizionismo e la mercificazione lo mettono in mostra dappertutto nel nome di una libertà malintesa figlia di un individualismo e un egocentrismo ormai pervasivi. Un processo potente e omologante che tracima nei corpi di persone convinte di essere libere e diverse.
Il corpo va difeso, curato e amato; è un dono di cui non vergognarsi, una risorsa per comunicare con il mondo e per stabilire relazioni di reciprocità e amore. È il centro della nostra vita, siamo il corpo che cambia, un corpo che si fa desiderio per conoscere se stessi nell'incontro con l'altro. Un desiderio che non è mai brama di possesso che il consumismo frenetico stimola incessantemente.
Abbiamo bisogno di percorsi educativi di rispetto e tolleranza che mai neghino la dignità della persona e neppure favoriscano discriminazioni e separazioni. Aiutiamo gli adolescenti a riflettere sulle proprie emozioni e a riconoscere il corpo come costitutivo e indispensabile nel viaggio della vita. Non una prestazione ma un dono che non potrà mai essere usato per sottomettere o per uccidere i corpi altrui.
I papà e le mamme da qualsiasi luogo provengono, da culture o fedi diverse, non possono provare a camminare insieme e far fiorire una comunità educante degna di questo nome?
(Crediti fotografici: iStock.com/ Wavebreakmedia)
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