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Saper "lasciare andare"

(di Edoardo Patriarca, presidente nazionale ANLA) Alcune settimane fa la Caritas nazionale ha pubblicato una interessante inchiesta sui  giovani impegnati come volontari nelle sue strutture. Sono più di 13.000, tra i 16 e i 35 anni, dediti ai tanti servizi che svolgono le strutture diocesane.

Nonostante le difficoltà economiche, le disuguaglianze sociali e il senso di disillusione e incertezza che caratterizza il nostro tempo, il 71,7% degli intervistati motiva il proprio servizio con il desiderio di aiutare gli altri, a conferma che l'impegno per il bene comune è ancora vivo e  radicato tra i giovani. Molti sono gli spunti di riflessione che emergono dalla ricerca. Vorrei evidenziarne alcuni, quelli che possono aiutarci a fare associazione, a tenere aperte le  porte a coloro, anche giovani, che desiderano partecipare alle nostre iniziative.

Il primo dato    è che i giovani sono sì disponibili alla mobilitazione - ricordo quella durante le inondazioni in Romagna o le immagini dei giovani di Valencia -  ma con la tendenza a "vivere esperienze di servizio come una parentesi della loro vita senza una significativa esigenza  di continuità". Si vive nel tempo dell'immediatezza, nel qui e ora, nel last minute. La solidità di una vita non si costruisce su "sensazioni della prima volta" scrive il direttore di Caritas: "sono i volti, le mani e le storie che ci attraversano a plasmare il nostro essere; sono le parole che scegliamo di custodire, e le persone che, con uno stile di gratuità e generosità, scelgono di camminarci accanto e dare a valore alla nostra vita". È questione ben nota alle persone impegnate nel volontariato e nel terzo settore, come pure nell'impegno politico. Come dare  valore alle nostre iniziative come spazio di amicizia e di appartenenza ad un comune progetto, oltre l'occasionalità?

Innanzitutto non lamentandoci che non ci sono giovani e che le persone adulte si "astengono" dall'impegno:   approfondiamo le cause, mettiamo in discussione il nostro modo di lavoro,  avviamo nuovi processi partecipativi e contrastiamo i facili stereotipi dei giovani disimpegnati (non è vero) o di  adulti sempre più assenti (neppure questo è del tutto vero).

Altro punto, i giovani descritti dalla ricerca Caritas sono impegnati contemporaneamente su tanti fronti,  amano viaggiare, hanno timore per le proprie future condizioni economiche,  sugli studi e sul lavoro che verrà. Per l'80% il valore più grande sta nelle relazioni familiari e sociali, tanto da dichiararsi   abbastanza soddisfatti della propria vita. Le relazioni in questo tempo frammentato sono davvero una perla preziosa di cui prendersi cura, in famiglia , nelle associazioni, negli oratori, persino nelle imprese. Se vuoi tessere amicizia sociale occorre tempo,  gentilezza e attenzione costante. La trascuratezza e la sciatteria non sono ammesse salvo non volersi trovare a presidiare un castello ormai disabitato come tante sedi associative, per non parlare di quelle partitiche.

Buone relazioni e non ultimo, dicono sempre i giovani della Caritas, non essere usati come manovalanza riservando le attività che richiedono autonomia, responsabilità e discernimento a "quelli di sempre". Agli adulti, a "quelli di sempre", spetta invece il compito affascinante e generativo di aprire nuovi cammini di coinvolgimento, dando fiducia e riconoscendo i talenti di coloro che si avvicinano alla nostra porta. "Lasciare andare"... è   un dono, una virtù che si conquista nel tempo. Domenica scorsa, il 2 febbraio, il giorno della candelora, il Vangelo racconta l'episodio della presentazione di Gesù al tempio. Quello che mi ha sempre colpito è che sono due anziani, Simeone e Anna, a "riconoscere" Gesù, lasciando turbati persino Maria e Giuseppe. Non sono gli scribi, gli agiati, i potenti chiusi nelle loro torri d'avorio, anche associative. Saper lasciar andare nel dare fiducia e saper riconoscere il valore di coloro che si avvicinano a noi, alla nostra famiglia, alla nostra associazione. Come Anna e Simeone.

 

 

(Crediti fotografici: iStock.com/ PeopleImages)

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