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Sanità, occorre una revisione strategica

(di Edoardo Patriarca, presidente nazionale ANLA) La Sanità pubblica e la crisi del Sistema Sanitario Nazionale (SSN) sono tornati prepotentemente al centro del dibattito politico. Dopo la Relazione della Corte dei Conti che ha messo in fila tutti i dati del settore facendo emergere, tra l'altro, come il fondo sanitario italiano sia più che dimezzato rispetto a quello tedesco,  si è aggiunto l'appello di  14 scienziati a difesa della Sanità pubblica. E si è aperto, come solito, il confronto tra la maggioranza che ha rivendicato la cifra record di 134  miliardi stanziata per il Fondo di quest'anno, e le opposizioni che al contrario hanno denunciato tagli al settore. 

Proviamo a fare un po di chiarezza e a dare qualche dato. È vero che in valore assoluto il finanziamento pubblico alla sanità con la manovra di quest'anno è cresciuto di 3 miliardi. Ma i valori nominali se non vengono contestualizzati danno un quadro distorto della realtà. Due sono i parametri che ci aiutano a capire e a confermare, ahinoi, il definanziamento della sanità in atto oramai da più di un decennio.

Il primo è il rapporto con il PIL: il finanziamento sanitario oggi si attesta al 6,27% del PIL, livello  replicato nel 2025 e limato al 6,20% nel 2026. Tutto bene? Non proprio, è il livello più basso dal 2007 ad oggi e se volessimo tornare al 6,7% del 2007 servirebbero 9,2 miliardi per il 2024 e 9,4 miliardi per il 2025. Se poi   raggiungessimo l'8% del PIL, il livello auspicato dai firmatari dell'Appello, servirebbero 32 miliardi nel 2024 e 37,4 miliardi nel 2025. Numeri inimmaginabili per il bilancio pubblico.

Il secondo parametro è l'inflazione: negli ultimi anni abbiamo subito uno shock inflattivo pesantissimo, i 134 miliardi nominali stanziati per il 2024 (14 in più rispetto ai fondi del 2020, con un più 11,4%) valgono molto meno. Nel medesimo arco di tempo i prezzi hanno cumulato un incremento del 13,9%: a fare quattro conti viene fuori che il sostegno  al servizio pubblico sanitario in realtà è diminuito del 2,2%, nonostante la dote extra assicurata dall'ultima Legge di Bilancio.

Aggiungo un altro dato per completare il quadro. Oggi il 25% della spesa sanitaria è  a carico dei cittadini e cresce più che in altri paesi europei; nel 2022 sono 41 i miliardi di euro che gli italiani hanno tirato fuori di tasca propria, un quarto della spesa sanitaria nazionale. 

Come associazione lo abbiamo detto in numerose occasioni: ci troviamo di fronte ad una crisi strutturale e sistemica del SSN, le sue dimensioni superano le singole responsabilità dei Governi che si sono succeduti negli anni, lo sguardo va rivolto ad una intera stagione politica cadenzata da esecutivi dalla vita breve, dal taglio ai finanziamenti, dalle liste di attesa infinite, dal personale sanitario in fuga, dal mancato investimento in nuove tecnologie e in ospedali più efficienti. 

La nostra posizione è chiara, occorre difendere il SSN perché è quello che garantisce la  soglia di salute necessaria per garantire il diritto inalienabile ad una vita degna a tutti i cittadini come previsto dalla Carta Costituzionale.

La nascita del SSN nel 1978 fu una delle imprese di infrastrutturazione sociali più significative del Paese, ci ha permesso di crescere economicamente e socialmente, e ha contribuito a ottenere il più marcato incremento dell'aspettativa di vita tra i Paesi a più alto reddito. Mi domando: se allora fu possibile, perché non sottoscrivere un patto bipartisan, un piano decennale  portato avanti comunque dai governi che si succederanno? Perché le Riforme, quelle vere, non si improvvisano, hanno bisogno di tempo e tanta determinazione. E la salute, il benessere delle persone, non sono né di destra né di sinistra, sono un bene comune e in quanto tale, un bene di tutta la comunità nazionale, universalistico e accessibile a tutti.

L'agenda è già scritta, l'hanno riproposta gli scienziati firmatari dell'Appello: incrementare il fondo nazionale per portarlo ai livelli dei paesi europei, riorganizzare la medicina territoriale e favorire una maggiore integrazione con le strutture ospedaliere (a proposito di ospedali, negli ultimi vent'anni ne abbiamo chiusi 200 e ridotto il numero dei posti letto  dai  5,8 per mille abitanti nel 1998 al 3,1 nel 2022; in Germania sono 8 per mille e in Francia 5 per mille). Vanno superati i divari territoriali per garantire i livelli di assistenza sanitaria e di spesa; occorrono maggiore appropriatezza delle prestazioni, investimenti in prevenzione e  miglioramento tecnologico per tenere il passo con le sfide future, tra queste l'invecchiamento della popolazione. Non ultimo, riappropriamoci di quella cultura umanistica che ha fondato l'istituto ospedaliero, persa in una deriva aziendalistica che dimentica le persone e le relazioni, in nome di un efficientismo fine a se stesso.

Insomma abbiamo bisogno di una revisione strategica, di una nuova programmazione e di un movimento di opinione che metta assieme professionisti e ricercatori, cittadini e associazioni di Terzo Settore impegnate nel sanitario, per spingere il Parlamento ad una azione condivisa e duratura. 

ANLA non farà mancare il suo sostegno.

 

 

(Crediti fotografici: iStock.com/ demaerre)

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