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Riscoprire il valore del dialogo e del confronto

(di Edoardo Patriarca, presidente nazionale ANLA) Al cuore della democrazia: è il titolo della cinquantesima edizione delle Settimane Sociali dei cattolici che si svolgerà a Trieste fino al 7 luglio. Un tema di grande attualità, scelto  volutamente per dare un contributo ad un tempo nel quale le democrazie costituite in Occidente  segnano una crisi assai profonda. Cosa sta avvenendo  e quali sono le crisi che le attraversano? 

Argomento complesso, dalle mille sfaccettature e strutturalmente pluridisciplinare. Mi limiterò solo ad offrire due spunti di riflessione che possono dare la misura, seppur parziale, dello stato di salute della nostra democrazia. Già in un precedente articolo abbiamo fatto cenno alla questione astensionismo che nell'ultima tornata elettorale ha toccato un livello mai raggiunto dalla nascita della Repubblica.

Un altro elemento su cui riflettere è la polarizzazione del confronto politico al quale abbiamo talvolta acconsentito anche noi, e che lo ha trasformato  in un ring nel quale gli elettori sono diventate tifoserie abbagliate da semplificazioni spesso non veritiere, o da proposte tra loro alternative ma che non hanno possibilità alcuna di realizzarsi. E questo ha creato paure e incertezze, amplificato l'astensionismo e incrementato il disinteresse per la politica. Un inquinamento tanto profondo da convincere che strumenti essenziali per una buona politica come dialogo e ricerca onesta del compromesso siano ritenuti atti di tradimento. Perché la controparte va esclusa e combattuta sempre e comunque, con  il triste risultato che le proposte di soluzione che si porteranno avanti più che farsi carico dell'interesse generale perseguiranno gli interessi "particolari" delle tifoserie  che  hanno sostenuto la parte vittoriosa, a cui farà da pendant  il rancore covato dagli sconfitti che, non rassegnati, proveranno a delegittimare l'avversario in ogni dove. Le tornata elettorali - e da noi mediamente c'è ne una ogni anno - hanno assunto  i tratti della sfida all'O.K. Corral.   La democrazia ci appare così stanca,  incapace di dare rappresentanza ad una  società profondamente trasformata e in cui sono cresciute insofferenze, frustrazioni ed  emarginazioni.

Sarà possibile ricostruire un tessuto di valori condivisi, il "cemento armato" di un sistema democratico che regge il pluralismo e il cambio delle maggioranze di governo? E che offre una serenità pubblica rassicurante per tutti, convinti che non ci sono cattivi da battere ma cittadini che legittimamente la pensano diversamente? E che andare a votare non è la fine del mondo?

Certo è che la risposta non si può dare   dall'alto, dovremmo al contrario ripartire dal basso, credere a quel tessuto partecipato di imprese, associazionismo e famiglie che giorno dopo giorno costruiscono legami e riconnettono i fili spezzati, e chiamano e invitano alla responsabilità comune e condivisa. 

Polarizzazione e contrapposizione alle quali aggiungo una cultura di governo strutturata sulla emergenza continua, sulla eccezionalità anche quando non c'è. In questi decenni l'emergenza l'ha fatta da padrona. Per sua natura la gestione è lontana dai principi della democrazia, le decisioni sono prese dall'alto e se necessario con delibere secretate; l'algoritmo è il protagonista  per giustificare le decisioni; la decretazione d'urgenza è il modo normale di legiferare,   insomma la misura rapida ed efficace prevale sulla legge. Se questa procedura diventa norma  il principio di trasparenza, cardine delle democrazie, viene menomato; soprattutto vengono compresse le voci di dissenso, la discriminazione del non conforme, inevitabilmente si riduce la partecipazione. Non solo, vivere la politica in emergenza ha un altro effetto collaterale: nasconde le aporie di un sistema economico e sociale sempre più diseguale ed escludente che indebolisce la democrazia. I principi positivi di libertà, uguaglianza e giustizia sociale - ingredienti essenziali di una buona democrazia- subiscono una mutazione che sono sotto i nostri occhi: esasperazioni, risentimenti, una vita in corsa solitaria, i talenti individuali più che agiti per un bene sono strumenti per vincere a tutti i costi. E così, la democrazia perde  il suo popolo che non è la somma di individui anonimi ma di tanti noi, di tante volontà parziali, di visioni e culture  diverse interpretate e vissute nelle rappresentanze sociali e dai partiti in Parlamento.

Come ne usciamo? Riscoprendo il valore del dialogo e del confronto e la ferma determinazione a costruire insieme, nella diversità e pluralità, più bene comune. Come ci ricorda Papa Francesco: il tempo è superiore allo spazio, l'unità prevale sul conflitto, la realtà è più importante dell'idea, il tutto è superiore alla parte. 

Al centro la città dell'uomo, la persona umana e i suoi diritti, l'attaccamento alla ricerca del bene.

 

 

 

(Crediti fotografici: iStock.com/ PeopleImages)

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