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Ridare valore al lavoro

(di Edoardo Patriarca, presidente nazionale ANLA) Nell'ultimo rapporto ISTAT, come pure durante le celebrazioni dello scorso primo maggio, i temi portati all'attenzione della opinione pubblica hanno riguardato in particolare il declino dei salari reali in Italia e il deterioramento delle condizioni lavorative. Due aspetti che fotografano una vera e propria emergenza sociale  di fasce sempre più ampie di popolazione e famiglie spinte verso la precarietà e l'incertezza sul futuro.

Su questi temi il dibattito tra le forze politiche, le rappresentanze datoriali e sindacali è da sempre piuttosto vivace (vedi la questione salario minimo) e non sempre convergente. Tuttavia pensiamo sia condivisa l'analisi sulle cause profonde della diffusione del lavoro povero nel nostro paese,   indotte per lo più dalle fragilità della struttura occupazionale e produttiva, alle quali si aggiungono decenni  di bassa crescita economica e di assenza di politiche industriali in grado di elevare la qualità delle produzioni e dei lavori disponibili. 

Il risultato è davanti ai nostri occhi, il declino dei salari reali in Italia è stato del 8,1% nel periodo 2000-2023 a fronte di una crescita media delle retribuzioni nell'area Euro del 5,3%. Ha trainato al ribasso soprattutto il settore dei servizi che ha registrato le maggiori flessioni salariali e la più alta crescita occupazionale. Un settore bloccato, in difficoltà ad incrementare produttività e qualità delle produzioni per mancanza di innovazione e nuovi investimenti e che per stare sul mercato ha utilizzato la leva di sempre: bassi salari a scapito dei dipendenti e  qualità del lavoro ai minimi termini.

A questi elementi di fragilità ormai strutturali si è aggiunta prima la pandemia e poi la recente ondata inflazionistica che ha inferto un ulteriore pesantissimo colpo ai salari reali e ampliato   l'area del lavoro povero e   della precarietà (part time involontari, contratti a termini, false partite IVA...).


La debole dinamica della produttività - tra le più basse in Europa- è dunque una delle cause principali di bassi salari e precarietà, il tallone di Achille del nostro sistema industriale. Parola evocata di frequente nel dibattito pubblico, motivo anche di dibattiti e scontri politici piuttosto accesi. 

ANLA non la intende come un semplice "fare di più", una lettura meramente quantitativa (anche), ma come capacità di liberare energie, di ridurre sprechi e moltiplicare l'efficacia di ogni ora lavorata dentro le aziende. Quando le persone sono messe in condizione di lavorare bene, con strumenti adeguati e con obiettivi chiari cresce la qualità e il contenuto di ciò che si produce e cresce il valore generato che è condiviso e redistribuito tra tutti. Ridare slancio alla produttività nella prospettiva qui solo accennata significa  ridare valore al lavoro, e contrastare il clima di sfiducia e la disaffezione, soprattutto trai più giovani, nel ritenere il lavoro uno dei cuori per realizzare in autonomia il proprio progetto di vita.

Per uscire da questo disastro sociale la nostra Associazione ritiene ancora   fondamentale il ruolo svolto dalle relazioni industriali,  dal sistema di contrattazione e da  politiche di regolamentazione del mercato del lavoro non calate dall'alto ma concertate con imprese e lavoratori. 

Una buona politica, una alleanza nel rispetto delle reciproche autonomie tra rappresentanze sindacali e datoriali, e al centro il valore delle persone:   non ci stancheremo di ribadire il ruolo trasformativo che i gruppi aziendali, riprogettati al futuro, potrebbero svolgere all'interno delle aziende.

 

(Crediti fotografici: iStock.com/ metamorworks)

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