(di Giuseppe Taddei, presidente regionale ANLA Campania)
E' apoditticamente manifesto che la società umana è una comunità organizzata composta da persone che condividono la stessa dimensione esistenziale e temporale. L'organizzazione sociale ne modella la struttura. La percezione e la riconducibilità a categorie ed aggregati diversi e coesistenti ne misura la distanza. In epoca romana due erano le grandi classi sociali: i patrizi aristocratici proprietari terrieri, e i plebei contadini, commercianti e artigiani. Al servizio dei patrizi vi erano i clienti che ricevevano dai loro padroni terreni da lavorare. Gli schiavi, prigionieri di guerra o plebei insolventi ai debiti, erano completamente nelle mani dei loro padroni. Nell'antica Grecia intorno al VI secolo a.c. si annoverarono dalle tre alle quattro classi stabilite in base al censo che Platone individuò nei governanti o filosofi, nei guerrieri e negli agricoltori. Via via nel corso del tempo si è passati al medio evo al rinascimento alle monarchie europee più o meno "illuminate", dove nelle componenti della società si accentuava sempre più la connotazione di classe per poi passare a quella di casta con marcato distanziamento tra quelle più alte e quelle più basse. Adam Smith (1723-1790) suddivise la società in due classi, quella dei poveri e quella lavoratrice, mentre Marx (1818-1883) si soffermò sul rapporto con i mezzi di produzione, da cui emersero due classi conflittuali, i proprietari del capitale e quelli della forza lavoro. Nel Novecento i sociologi, accorgendosi della continua mobilità, della variabilità del sistema economico e della scolarizzazione che cominciava ad estendersi, hanno compreso che i confini tra le classi sono sempre più sfumati, al punto da stratificare le classi al loro interno (stratificazione sociale). Più avanti, giungendo ai giorni nostri, la società contemporanea è andata ad acquisire una sua anomica e polisemica definizione, propria della semantica dello spazio, individuando nel termine globalizzazione aspetti e profili geometrici a scapito di quelli temporali ed esistenziali.
La convulsa e frenetica vita quotidiana, la esponenziale evoluzione tecnologica delle numerose metodologie comunicative, hanno annichilito la nostra dimensione spaziale e temporale che ha perso ogni sua connotazione e valenza reale. Reinterpretare, adeguare e riadattare nell'immediato, in funzione dei cogenti e stringenti vincoli imposti dalla resilienza alla propagazione pandemica, il concetto di distanza sociale rivisitato ed attualizzato in un contesto storico, sociale e culturale come quello che stiamo vivendo, connotato da "tecno-utopie", potrebbe apparire quasi inattuale. A ben vedere però, acquista la sua attualità, quando con sguardo più realistico, ci si accorge di come la globalizzazione, non abbia annullato in toto il concetto di spazialità, attribuendo una configurazione frattale, cioè invariante, al ridisegnato archetipo strutturale sociale dell'umanità. In effetti sotto certi aspetti, la globalizzazione si è adombrata come una complessa opera d'arte astratta priva delle più essenziali prerogative dell'estetica figurativa. La metafora di una ordinata modernità è stata disattesa. In pratica spazio fisico e spazio sociale non sono evaporati, ma hanno perso la loro complanarità disancorandosi per poi re intersecarsi e rifrangersi reciprocamente. Emerge, quindi, in tutta la sua gravità l'enorme rischio che una prolungata, sebbene irreversibile, fase di distanziamento sociale nella complessa società contemporanea si traduca in un viatico nelle più inesplorate, stridenti e caotiche dinamiche delle relazioni interpersonali, del dialogo quotidiano, della formazione diffusa e condivisa delle opinioni, della creazione di monadi vaganti. Potrebbe venire meno lo spirito del comunitarismo che andrebbe ad infrangersi difronte ad una società quale aggregato atomistico di individualità concorrenziali ed "insocievoli". Verrebbe distrutto lo spazio intersoggettivo che rende possibile la crescita morale, sociale, comportamentale degli individui come membri consapevoli della comunità. La dimensione sociale e societaria diverrebbe secondaria e derivata rispetto a quella individuale oramai privata degli spazi e delle occasioni di interlocuzione. Si potrebbe addivenire ad una nuova soggettività disgregata e senza identità, sradicata e oscuramente veicolata verso una paranoia sociale, condizionata da un persistente distanziamento, dettata dal dubbio e dal sospetto, corroborata da un consumismo illimitato e dalla chimera di disideri inarrivabili. Bisogna evitare che, tra gli effetti collaterali ed indesiderati della tragica emergenza sanitaria, che continua ad opprimere l'umanità intera, si addivenga a delle perseità evanescenti e senza identità modellate dall'esterno e sottomesse alle logiche precarizzanti dell'accumulazione illimitata. In questa difficile congiuntura storica è più che mai indispensabile mantenere viva e ferma la cifra della integrità morale centrata su rapporti continui e solidali tra libere individualità, assicurando il giusto equilibrio tra i principi costituzionalmente sanciti e garantiti della libertà individuale e della salute di tutti i cittadini, con primato di una vera politica solidale europea, di una politica economica improntata allo sviluppo sostenibile ed alla piena occupazione, preminenza della dimensione sociale (interesse pubblico) su quella privatistica (interesse privato), nonché, ma a tal punto soprattutto e principalmente, presidiare una stabilità solida dell'essente attingendo a piene mani dal nostro credo religioso e cristiano nella più ampia prospettiva ecumenica possibile.
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