(di Edoardo Patriarca, presidente nazionale ANLA) Nella precedente newsletter abbiamo toccato il tema della scuola e dato uno sguardo complessivo al sistema educativo del Paese. Vorrei dedicare qualche riflessione su un altro quadrante strategico della vita delle comunità, ovvero sulle politiche di cura e di coesione sociale. È in atto nel paese un dibattito intenso - ma poco pubblico- sui modelli di sanità e di assistenza sociale che andremo a progettare nei prossimi anni. Le riflessioni sono convergenti e protendono verso il superamento del paradigma del "posto letto" come sinonimo esclusivo di cura. Se ci pensiamo, fino a prima della pandemia, l'efficienza del sistema si misurava sul numero dei posti letto disponibili, sul numero degli ospedali e delle residenze presenti in un dato territorio. Il "posto letto" è stata la risposta prevalente alle condizioni croniche di non autosufficienza negli ospedali e nelle strutture residenziali di assistenza, anche per coloro che avrebbero avuto bisogno di una vita più ricca di relazioni, e di un letto, sì, ma solo per dormire. Ne è derivata una residenzialità chiusa, carente di vita sociale interna e separata dalla comunità circostante.
Ecco perché si impone una trasformazione profonda del sistema sanitario e di assistenza sociale, la pandemia ha svelato le fragilità spingendoci a superare il paradigma "ospedalocentrico" per scegliere la comunità, risorsa e luogo nel quale i cittadini vivono, percorso più complesso rispetto alla logica della istituzionalizzazione più efficiente ma per nulla inclusiva e di promozione di benessere. Se questa è la direzione da intraprendere la struttura ospedaliera ci apparirà sfocata, sullo sfondo, una risorsa a cui ricorrere eccezionalmente e di utilizzo per breve durata. Non sarà semplice. Un sistema di welfare di comunità ha bisogno di nuove forme di salute locale dal basso: alcune esperienze virtuose di Casa della Salute (o di comunità) ci possono indicare la via. Sono luoghi di accoglienza, di partecipazione responsabile e di superamento delle disuguaglianze, dove tutti gli attori della convivenza si ritrovano a progettare e gestire insieme il benessere presente e futuro della comunità stessa. Nella Casa della Salute (o della Comunità) la dimensione sanitaria dovrà trovare un giusto equilibrio con le altre dimensioni psicosociali che hanno a che fare con la cura e la riabilitazione, e con tutti i processi di abilitazione alla piena cittadinanza. Una cittadinanza che si traduce nel diritto a restare a casa propria fin dove possibile anche se malati, oppure di fruire di interventi di diagnosi cura e riabilitazione al di fuori dell'ospedale. Anche per le Residenze valgono le medesime prospettive, occorre un piano di recupero sostenuto economicamente per la trasformazione verso strutture aperte, erogatrici di servizi per la assistenza domiciliare, con una residenzialità più a misura delle persone ospitate. In Italia c'è molto da fare sulla offerta di residenze di qualità oggi assai limitata (14,1 posti ogni 1000 abitanti) con una sproporzione inaccettabile tra nord e sud, con Bolzano 42,6 posti e il Veneto con 28,4, contro il 1,4 della Campania e lo 0,8 del Molise. Un rapporto Nomisma calcola che ne andrebbero costruite altre 527.
Questo radicale cambiamento per essere possibile ed efficace deve disporre di risorse finanziarie e umane ingenti e, ad occhio, quelle stanziate nel Pnrr sono assai poche.
(Crediti fotografici: iStock.com/ Halfpoint)
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