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Quale bellezza per quale società?

Terminiamo il viaggio all'interno dei contenuti della terza edizione della Summer School con la pubblicazione integrale dell'articolo di Carla Collicelli, Sociologa del welfare e della salute, Associate Researcher presso Cnr - Cid Ethics e membro del Segretariato ASviS, docente universitaria, pubblicato integralmente su Esperienza 9-10/2021

 

(di Carla Collicelli) Quale bellezza per quale società? Il necessario recupero di una dimensione vitale e generativa nel sociale

Il sostantivo bellezza e l'aggettivo bello ricorrono continuamente nel nostro vocabolario di uso comune, ma l'uso che ne facciamo è talmente variegato da renderlo confuso, contraddittorio, nel migliore dei casi slabbrato e onnicomprensivo. Eppure è dall'inizio della storia che l'umanità si interroga sul concetto di bello. Basti pensare alla filosofia greca che identificava il bello con l'armonico ed il proporzionato, postulando la sua affinità - se non coincidenza - con il buono, il giusto ed il divino. Sulla stessa linea di pensiero, in periodo cristiano anche per Tommaso d'Aquino il bello è armonia, proporzione e perfezione. E per Agostino la bellezza è qualcosa di interiore, di spirituale, da ricercare dentro di sé. In epoca illuminista Kant introduce una dimensione ulteriore: la bellezza scaturisce dal rapporto tra soggetto e oggetto ed ha dunque a che fare con il pensiero del soggetto oltre che con l'oggetto. E naturalmente non può mancare il riferimento a Dostoevskij, che mette in bocca al giovane Födor Michajlovich, che si rivolge al principe Miskin nell'Idiota, la famosa frase: "È vero principe che una volta avete detto che  la bellezza salverà il mondo? (...) ma quale bellezza salverà il mondo?", con un chiaro riferimento al tema caro all'autore del riscatto del mondo e dell'affrancamento dal male e dalla violenza. La bellezza dunque come buono e giusto, e come fratellanza e amore.

Venendo ai nostri tempi, ci si chiede spesso oggi cosa sia bellezza per l'uomo moderno. La prima osservazione che sorge spontanea è relativa al peso dell'immagine nella società contemporanea. Supportato ed accelerato dalla scoperta della fotografia, il culto dell'immagine, nel senso più prosaico e quotidiano del termine, è diventato fagocitante rispetto al giudizio di bellezza. La bellezza fisica e la bella presenza sono diventati elementi cui si attribuisce un valore sproporzionato, rispetto ad altri valori, come quelli della felicità, del benessere o della giustizia. Una bellezza dunque tutta visiva, che inquina anche le forme di arte che si rivolgono ad altri sensi, come la musica. A questa concezione tutta estetica, percettiva e individuale della bellezza si associano i luoghi comuni della bellezza come eterna giovinezza e dell'immagine come elemento determinante rispetto alla vita delle persone. Una "bellezza banalizzata" che, secondo Zygmunt Bauman, si collega alla superficialità del nostro tempo ed al peso delle mode e dalla pubblicità.

 

Intervento di Carla Collicelli alla Summer School

 

 

Oltre a segnalare i rischi di un appiattimento su di un concetto di bello banalizzato, la questione posta da Bauman ripropone alcuni ulteriori dilemmi storici: il dilemma tra bellezza esteriore ed interiore, quello tra bellezza del soggetto e bellezza della relazione, la bellezza dell'ambiente naturale e antropizzato, la bellezza delle piccole cose.

Rispetto all'interiorità, il riferimento all'attuale periodo è utile, in quanto l'emergenza eccezionale della pandemia ci ha sottoposto ad un esperimento sociale inedito di sospensione della mobilità e dunque di ripiegamento obbligato su di sé e sulla propria realtà interiore. La situazione anomala che si è determinata ci ha messo di fronte in maniera inusuale alla nostra intimità psichica ed al vissuto più profondo delle nostre relazioni sentimentali, interpersonali e sociali. Il silenzio e la solitudine sono diventati uno spazio vuoto facile preda del disagio esistenziale e della paura. Ma la solitudine ed il silenzio ci hanno anche portato a riflettere sul valore dell'interiorità e sulla sua bellezza, e per molte persone si è presentata, a volte per la prima volta, l'occasione di riflettere sulla propria esistenza e di vivere forme varie di spiritualità, concentrazione e rilassamento, o momenti di religiosità, magari a distanza, ma con particolare intensità, e di constatarne la bellezza.

La seconda dimensione importante della bellezza da sottolineare rispetto ai luoghi comuni dominanti è quella della relazione. Come ha spiegato egregiamente James Hillman (in Politica della bellezza) la bellezza è spesso intesa come auto rappresentazione, auto riconoscimento, attenzione a sé in forma narcisistica, auto riflettente. Come Narciso che si specchia nell'acqua e si innamora di sé, tanto da respingere ogni altro essere che lo voglia amare, e fino a morire annegato nell'acqua del rispecchiamento della sua immagine, questa bellezza diventa una ossessione di soggettività e di auto referenzialità. Ed è proprio il mondo della psicanalisi e della psicoterapia che ci mette in guardia su ciò. Come dice Massimo Recalcati, il distanziamento sociale ci ha colpito duramente, ma qualcosa di simile era già all'opera prima dell'epidemia, nei termini di una psicopatologia che lui chiama "euforia neoliberale e securitaria", e di una casistica di pazienti che soffrono della loro condizione di isolamento affettivo, ma che, una volta in analisi, si rendono conto che si tratta della loro condizione di "vita ideale". Ed anche qui va riconosciuto che la pandemia ci ha spinto a rivedere i contenuti e le forme dei propri rapporti interpersonali e l'equilibrio tra vita lavorativa e vita familiare e sociale, evitando che il lavoro finisca per occupare gli spazi delle nostre relazioni umane importanti. Ed è apparsa all'orizzonte la bellezza  della relazione di cura e quella del sostegno ai soggetti soli e malati, spesso dimenticati rispetto agli altri impegni della vita. Come ha scritto Zizek, citando l'episodio evangelico del "noli me tangere", martellati dai moniti a non toccare gli altri, il distanziamento impostoci dalla pandemia costituisce un invito a riconoscere il valore della dimensione immateriale della relazione umana, una dimensione su cui occorre riflettere per cogliere l'occasione che ci si presenta di sviluppare dentro di noi e nel mondo attorno a noi un nuovo pensiero, una armonia ed una bellezza da ricercare nei rapporti e nelle relazioni umane. 

Ma venendo alla bellezza fuori di noi, la pandemia ci sta insegnando che non vi potrà essere un futuro di benessere e bellezza per tutti se non nel rispetto della bellezza dell'universo e nella considerazione della complessità della vita e delle relazioni tra parti del pianeta e tra specie sul pianeta, in altre parole la complessità che racchiude capitale umano, capitale naturale e capitale sociale. In altre parole la bellezza della vita dipende dagli equilibri del "sistema psico-somato-ambientale" nel quale siamo immersi. Quel sistema che è alla base delle strategie della "Salute unica" (One health), e sulla quale si sta indirizzando la ricerca verso il superamento dell'Antropocene, la cura di tutto l'ambiente di vita naturale e sociale, la progettazione di città vitali in termini di relazioni umane e comunitarie e la promozione di luoghi rispettosi della dignità di tutte le specie viventi. Purtroppo quella che si è imposta a causa dello sviluppo della tecnologia moderna e delle sue potenzialità di intervento sulla natura, è "una bellezza naturale senza natura" (come dice Hillman), assieme al predominio fino alla distruzione, con una conseguente perdita di bellezza naturale e di armonia. La natura da luogo temuto ma rispettato è diventata così luogo di conquista ed uno degli esempi peggiori di ciò è dato dalla forma delle nostre città e dall'uso che ne facciamo. La città da sempre rappresenta e contiene il mondo dell'umano e del sociale e tale deve continuare ad essere. Non deve copiare la natura e tanto meno la natura selvaggia. Ma, per essere bella, deve dare spazio all'umano ed al sociale in maniera armonica, deve includere la dimensione immateriale dell'esistenza (la spiritualità, l'arte, la libera associazione, l'incontro) e la dimensione dell'ambiente naturale circostante, con cui cercare forme di compatibilità, integrazione ed ibridazione che non portino danno né alla natura né alle specie viventi. In altre parole la città deve contenere spazi e luoghi densi di bellezza e di anima planetaria. Come insegna l'Enciclica di Papa Francesco Laudato Si', che sulla cura della casa comune propone la prospettiva di un mondo basato sull'ecologia integrale, ambientale, economica, sociale e culturale.

Questo anelito, presente in molti di noi, si scontra con l'ampliamento rapido e formidabile delle possibilità dell'umano e con lo sviluppo di intelligenza artificiale, robotica, human enhancement e social media, che pongono domande inquietanti sull'essenza della natura umana, la libertà ed il destino dell'universo. La questione che si pone da un punto di vista sociale, oltre che filosofico, è se questo patrimonio di realizzazioni e di nuove forme dell'essere stia ponendo in ombra l'uomo, ponendolo ai margini di una evoluzione che vive di vita propria. E se ciò sia bello. Le risposte a questo quesito dal punto di vista sociologico sono e sono state differenti, e non mancano voci importanti che hanno teorizzato la fine dell'umano. Non mancano però spunti importanti a sostegno di un'ipotesi diversa, secondo la quale tutto ciò che è avvenuto in termini di ampliamento della realtà naturale non intacca le prerogative specifiche dell'uomo e del suo ruolo nella storia e nell'universo, ponendo al tempo stesso sfide nuove di sostenibilità, controllo etico e umanizzazione.

Piccolo è bello. Uno slogan che ha avuto un certo successo, soprattutto con riferimento all'economia della piccola impresa. Ed un concetto molto discusso e per certi versi inviso, pervasi come siamo, almeno molti di noi, dalla convinzione che solo pensare in grande sia foriero di sviluppo, crescita e successo. In realtà, ogni volta che l'umanità ha affrontato qualcosa di enorme o di abnorme è andata incontro a seri problemi, rischi e forme di devastazione. Il riferimento è a grandi guerre, grandi crisi, grandi potenze, grandi città, grandi mercati, grandi edifici, grande finanza. Certo esistono anche esempi meno drammatici e negativi, con riferimento alla dimensione spirituale dell'esistenza: la grande bellezza, la grande musica, la grande arte. Ma laddove l'umanità ha voluto materializzare la grandezza per cambiare la storia "in grande", ci si è trovati quasi di fronte a forme di prevaricazione e predominio. In questo senso la bellezza delle piccole cose non è il frutto di una nostalgia per un'epoca pre-industriale né per le economie arretrate, e va intesa piuttosto come attenzione per le realtà minute che ci circondano, le piccole comunità, le piccole amicizie, i piccoli centri urbani, i piccoli bambini, il piccolo artigianato, l'agricoltura a chilometro zero, il turismo lento e attento ai valori dei piccoli centri. 

E questo ci porta ancora una volta alla bellezza del rapporto di cura, quello rivolto ai più deboli, ai piccoli, agli umili. Una bellezza per chi riceve il dono, per chi ha bisogno di cura, ma anche per chi cura, per chi realizza un rapporto generativo, che fa uso del dono. Già Ippocrate, e poi tutta la medicina illuminata, hanno sottolineato come parte del male, anche fisico, sia nell'anima. E ciò vale ancora oggi per una medicina ed una cura assistenziale che valorizzi umanità, dignità e valore intrinseco della persona. Ma vale anche e soprattutto per le meravigliose esperienze di terapie espressiva o terapia con l'arte. L'uso del bello attraverso le forme artistiche presentate al paziente suscita emozioni e sentimenti che incidono fortemente sullo stato di benessere o malessere del paziente. E le emozioni suscitano anche l'immaginazione, e con essa la voglia di futuro, la riscoperta del proprio sé. 

Infine il bello va cercato anche e soprattutto nel diverso da noi. In Fratelli tutti Papa Francesco dà vita ad un appello alla solidarietà ed alla fratellanza, soffermandosi in modo particolare sull'egoismo etnico e nazionalistico, sulle periferie economiche, sociali e culturali, e sull'omologazione culturale che annulla le diversità e trascura la dimensione minuta delle identità. La situazione del mondo di oggi descritta da Fratelli tutti è caratterizzata dall'arroccamento su sé stessi e sul proprio territorio di appartenenza e dalla crescita dei sentimenti di odio per i diversi. E alcuni provano a fuggire dalla realtà rifugiandosi in mondi privati, e altri la affrontano con violenza distruttiva".  Crescono le periferie, vicine e lontane, materiali e immateriali: "Ci sono periferie che si trovano vicino a noi, nel centro di una città, o nella propria famiglia" (Fratelli tutti 97) e periferie lontane, periferie del mondo, periferie delle grandi aree urbane degradate ed abbandonate. Periferie del corpo e periferie dello spirito.

Di fronte alle questioni poste viene spontaneo domandarsi se si tratti di pensieri utopici e se l'umanità non sia condannata a fare a meno della vera bellezza. In realtà il futuro sarà come noi lo vorremo, ed il sogno concreto e realizzabile di un incontro costruttivo e generativo di vera bellezza può guidare le nostre scelte a livello individuale e a livello collettivo, nella nostra comunità ristretta e nel nostro paese e nel mondo intero. Si tratta di alimentare i tanti ambienti vitali che pur esistono, i luoghi di socializzazione animati da spirito di rigenerazione, innovazione e solidarietà, le forme di convivialità e di incontro nelle parrocchie e nelle associazioni ambientalistiche, artistiche e sportive, nella cooperazione e nel volontariato, nel mondo delle cure, nella cultura più genuina e nella musica. Studi sulle correlazioni tra condizioni di vita e benessere sociale indicano questi ambiti come importanti per la ricostruzione di un tessuto sociale positivo.

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