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Persone umane

(di Edoardo Patriarca, presidente nazionale ANLA) Il terribile naufragio sulle coste di Crotone è l'ultimo di una lunga e tragica serie, sono migliaia le persone alla ricerca di una vita migliore che continuano ad annegare nel Mediterraneo. Di fronte alle tragedie così  cariche di morte, di sofferenza, di terrore sono doverose e moralmente necessarie le nostre   solidarietà e vicinanza, l'indignazione e la tristezza immensa che prendono il cuore nel vedere le immagini delle bare allineate nella palestra,  uno spazio sospeso, fuori dal tempo.  Colpiscono il cuore quelle bianche dei bambini: perché  sono morti, quali colpe avevano?

Le   recriminazioni,  il dito puntato,   i tentativi di guadagnare consenso politico da una parte e dall'altra - noi lo sappiamo -   sono  inutili, inefficaci se non dannosi. Gli slogans  "fermate i barconi" o  "lasciateli entrare tutti" sono funzionali solo ad una  politica-in-battuta e in rima, al Twitter azzeccato con le centinaia di like da mostrare come un trofeo; sono funzionali   alla semplificazione banale, da bar, di una  realtà, quella delle migrazioni,  complessa   perché sono complicate  le ragioni per le quali  le persone si muovono:   sono i rifugiati,  che  fuggono dalle persecuzioni e dalle guerre e che hanno bisogno di protezione internazionale; sono   i migranti,   che  ricercano opportunità economiche e sociali per il loro futuro e quello dei propri figli. È accaduto anche alla nostra comunità nazionale: per  tutta la  seconda metà del secolo scorso furono alcune decine di milioni gli italiani che emigrarono per motivi economici. Furono migliaia  i rifugiati  perseguitati dal regime fascista. Non dobbiamo mai dimenticarlo.  

Parlavamo di complessità, e una delle più evidenti è che  i confini tra rifugiato e  migrante spesso si sovrappongono, la distinzione non è mai così netta; ad un conflitto armato  si aggiungono sempre più frequentemente   una crisi ambientale  e  alimentare, lo abbiamo vissuto con la guerra in Ucraina.

Ma la complessità non può renderci inerti e rassegnati. Continuo a pensare che sia possibile, almeno tra noi, in associazione,  aprire una conversazione onesta e leale sul fenomeno migratorio.  Siamo persone perbene. Tra  l'altro ne abbiamo già parlato in una sessione della   Summer School tenutasi a Venezia.

Un punto fermo però dobbiamo darcelo: che  siano rifugiati richiedenti asilo  o migranti economici, la vita quando è in pericolo va salvaguardata sempre e comunque.    Se  viene messo in discussione  questo pilastro valoriate  la civiltà umana -con  le sue creazioni, le bellezze, l'arte, l'amore... -  annichilisce  in un inferno tetro e buio. Il  salvataggio in mare è un obbligo/dovere antico quanto l'invenzione delle imbarcazioni,  non  è negoziabile, è iscritto nelle Carte internazionali che il nostro Paese ha sottoscritto. Ne consegue che non  si possono porre limiti al soccorso quando altri esseri umani sono in pericolo di vita.

Facciamo ora un passo in avanti.  Se riconosciamo   le cause  delle migrazioni, la loro complessità dicevamo poc'anzi,  possiamo affrontare le sfide e le opportunità che esse presentano all'Europa con decisioni e azioni   dallo sguardo lungo. Se il fenomeno migratorio è strutturale le risposte non potranno essere emergenziali, tanto improvvisate e estemporanee da creare poi  disagi e incomprensioni nelle comunità locali. Sono più di 100 milioni i rifugiati in tutto il mondo che l'anno scorso hanno dovuto lasciare le loro case: vogliamo prenderne atto?

Un'agenda di  buona politica per la gestione dei flussi  migratori  è troppo lunga da scrivere, mi limito a proporvi qualche punto.  

L'onere  dell'accoglienza non può essere sostenuto solo dai paesi costieri; il dibattito sulla modalità di equo ricollocamento in tutta la Unione europea è inconcludente, oso  dire vergognoso; qualsiasi tentativo di rivedere il protocollo di Dublino è andato in fumo per l'opposizione di alcuni Governi: come è possibile tanta ignavia?  E che dire del mantra "rimandiamolo a casa" quando sappiamo che  il rimpatrio sicuro e dignitoso di coloro che non sono rifugiati può essere ottenuto solo attraverso un'azione congiunta degli Stati europei di concerto con i paesi d'origine. Lo slogan è fumo negli occhi, i rimpatri numericamente sono una manciata rispetto agli ingressi: possibile che l'Europa  non riesca a varare un patto su migrazione e asilo con i paesi  di origine e di transito a vantaggio di entrambi? Un vantaggio per noi europei nel valorizzare  le enormi opportunità delle economie  dei paesi africani  e un vantaggio per i giovani africani che vogliono migrare  regolarmente in un'Europa invecchiata che avrà bisogno di nuove forze per tenere in piedi le  economie e garantire la sostenibilità delle politiche sociali e dei sistemi sanitari.

Per parte nostra: non sarebbe urgente modificare le leggi attuali per garantire un accesso al lavoro  legale? Non sarebbe utile una nuova legge sulla cittadinanza per integrare le giovani generazioni straniere (spesso italiane da tempo) nel sistema paese? Non sarebbe utile fornire ai Comuni e al Terzo Settore le  risorse necessarie per promuovere percorsi  di inclusione per i migranti ( l'insegnamento della lingua, formazione professionale, appoggio per l'ingresso nel mercato del lavoro)? Se le nostre imprese in questi giorni lanciamo l'allert sulla mancanza di manodopera in alcuni settori (si parla di un centinaio di migliaia  di persone) non è il caso di approntare un decreto flussi agibile e non sommerso da orpelli burocratici?

 

 

(Crediti fotografici: iStock.com/ artJazz)

 

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