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Partecipare

(di Edoardo Patriarca, presidente nazionale ANLA) Chi è il vero vincitore in questa tornata elettorale? Nel dopo elezioni,  salvo disfatte clamorose, tutti i partiti grosso modo dicono di avere vinto e, nel caso di un calo di votanti, dichiarano con enfasi l'impegno a ripartire con più lena per riconquistare le posizioni perse. È accaduto anche in questo appuntamento elettorale, ma pochi si sono soffermati su un dato a dir poco impressionante: un elettore su due non è andato a votare con il paradosso che il risultato delle Europee, seppur legittimo,   è stato votato da una minoranza degli italiani, più precisamente dal 49,69%.

Possiamo dare la risposta alla domanda che retoricamente ho posto all'inizio: il vero vincitore di queste elezioni è il "partito dell'astensione" composto da circa 23 milioni di cittadini, un numero enorme anche se prevedibile. Da tempo il calo dei votanti è un dato  consolidato anno dopo anno: se torniamo per un confronto al 1979, nella prima consultazione comunitaria, la partecipazione raggiunse l'85,69%, (un dato oggi irraggiungibile), nel 2014  fu del 57,22%, nel 2019  il 54,5%. Va detto per chiarezza che vi è pure un astensionismo involontario: sono  2,8 milioni gli over 65 che hanno problemi di mobilità e che dovrebbero essere accompagnati al seggio, e 4,9 milioni le persone che abitano a 400 km dal proprio Comune di residenza. Non è detto che sarebbero andati tutti a votare ma che tutti siano messi nella condizione di poterlo fare è un diritto politico non negoziabile.

Come per tutti i partiti e movimenti, Il "partito dell'astensione" non è un gruppo omogeneo, chi ne fa parte è mosso da motivazioni assai diverse. 

Vi sono coloro che non vanno a votare perché vivono una situazione economica personale e familiare difficile che li porta a non fidarsi delle istituzioni e della politica in generale. 

Non vanno a votare molti giovani che percepiscono l'appartenenza politica un frammento irrilevante nella definizione della propria identità personale, diversamente da quanto è accaduto alle generazioni più anziane; da aggiungere che i giovani sono dimenticati dai partiti per un puro calcolo statistico perché pochi in un paese che non fa più figli. 

Non votano le persone che si sentono spaesate e non più a "casa propria", spaventati dalle  trasformazioni sociali ed economiche troppo veloci e spesso non comprese o basate su informazioni false e sommarie. Assistono disillusi alla crescita delle disuguaglianze e della povertà, sono intimorite dalle guerre e dal terrorismo, dalla immigrazione non controllata, tanto da essere disponibili a rinunciare ad alcune libertà in cambio di governi che rassicurino e diano sicurezza.

Non votano le persone che  vorrebbero ritrovare un sogno, un'ideale dentro una politica che percepiscono  arida e calcolatrice, senza progetti e visioni.  

Come ne usciamo? Come rianimare una democrazia affaticata per ricostruire fiducia nei confronti della politica e delle istituzioni,   capaci finalmente di accompagnare questa stagione di transizione complessa ma se lo vogliamo portatrice  di un futuro più giusto e sostenibile?

Per anni abbiamo dato corda al discredito della politica, un'accusa permanente e generalizzata che ha portato alla deresponsabilizzazione e alla scarsa consapevolezza che con il voto (o il non voto) decidiamo chi governerà le istituzioni del paese. 

La politica è buona nella misura in cui noi ci impegniamo a partecipare come cittadini consapevoli e formati alle vicende politiche e sociali del nostro paese. Ancora meglio se lo facciamo insieme in associazione, per formarci, per assumere decisioni anche pubbliche, per vivere la democrazia.

 

 

 

(Crediti fotografici: iStock.com/ Drazen Zigic)

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