Occhi nuovi

(di Edoardo Patriarca, presidente nazionale ANLA) È un compito che vale per tutte le stagioni della vita: dotarsi di nuovi occhi non è una prerogativa solo dei giovani,  è il tratto peculiare delle persone che desiderano vivere  una esistenza pienamente goduta, anche nel tempo della anzianità. Nuovi occhi dunque, anzitutto utilizzando la strumentazione che mette a disposizione la tecnologia digitale per accedere alle informazioni, alle culture e alle biblioteche virtuali di tutto il mondo. Non basta tuttavia  rimanere aggiornati e informati per dotarci di uno sguardo nuovo: ci illudiamo di vivere da protagonisti già "imparati" stando immersi nel fluire ininterrotto di notizie e  accadimenti. 

Il protagonismo autentico assomiglia piuttosto allo scatto di una foto che vogliamo significativa: l'inquadratura e la scelta dell'obiettivo dipendono da noi, dalla nostra sensibilità, siamo noi che decidiamo dove "poggiare i nostri occhi". 

Dotarsi di nuovi occhi non è una tecnica dunque, è piuttosto un'attitudine del cuore, una spiritualità curata e praticata nella ferialità: un' impresa ardua, che costa fatica ed esercizio, ma che dona  gioia e opportunità di restituirla ai giovani, a figli e nipoti, spesso condizionati dalle fredde logiche dell'efficienza, dalla competizione e da una cultura meritocratica nella quale a vincere è solo il mio io, i miei desideri, le mie pretese. Cosicché le dimensioni della gratuità e del dono annichiliscono, impoverendo   la vita e lo sguardo su di essa.

Quale cassetta degli attrezzi abbiamo a disposizione per sapere dove poggiare i nostri occhi, per scoprire il mistero della vita che ci circonda e che nessuna tecnologia può svelare?  Alcuni spunti.

Anzitutto preservando la ricchezza fragile che abita  la nostra vita personale, quella della comunità in cui viviamo o dell'associazione a cui apparteniamo, soprattutto  in una fase storica di radicale cambiamento. Questa ricchezza fragile la   proteggiamo prendendocene cura, a partire da noi stessi, dai nostri ricordi, dagli oggetti che ci sono cari, dalle nostre case. E poi curando le relazioni prossime nel segno del servizio, e quelle dell'associazione, luogo nel quale  sono incompatibili i titoli acquisiti per sempre, il rivendicazionismo fine a se stesso, il formalismo e la retorica vuota o la pratica del chiacchiericcio pettegolo. L'associazione è uno spazio fraterno, un laboratorio  creativo di trame colorate da gratuità e dal desiderio di fare bene comune. Un esercizio  di rispetto attento e premuroso, un apprendistato permanente d'amore. 

Avere occhi nuovi è vivere in autenticità, che è ciò che  rende le  azioni di ognuno di noi credibili e affidabili. Non bastano una pec o una nota puntigliosa: la pratica dell'autenticità è più profonda e complicata da praticare. Vive del tempo paziente della lentezza, investe sulla qualità  delle relazioni e sulle opportunità che la vita  offre, sa  meravigliarsi di fronte a gesti che annunciano il bene, non spreca tempo in ritualità stanche e vuote di senso, pratica l'arte di fare bene le cose e di curare il dettaglio.

Un altro attrezzo è la messa a fuoco, come accade prima dello scatto di una  fotografia. Per farla occorrono buoni occhi. È un processo e una abilità interiore che ci  aiutano a individuare e poi comprendere gli elementi di novità che  si annunciano nella quotidianità. In altre parole è fare discernimento personale e comunitario per cogliere quei segni di speranza - magari ancora sfocati nei loro contorni - che invitano all'azione. Lo si fa anche con la fotografia associativa, e qui le reazioni possibili sono due. Quella di chi la osserva con occhi vecchi dedicandosi a declinare pedissequamente le difficoltà  senza assumere alcuna responsabilità passata né tantomeno futura; o quella di coloro che la studiano con occhi nuovi per trarne ispirazione e tracciare nuove rotte, per pensare al futuro, per "amare quello che sarà" come recita il titolo della prossima Summer School.

(Crediti fotografici: iStock.com/ Jay_Zynism)