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L'Italia non è un paese per mamme

(di Edoardo Patriarca, presidente nazionale ANLA) Sei milioni le mamme che lavorano e che devono districarsi tra vita   lavorativa e  cura dei figli: le loro vite sono raccontate nel  VII rapporto di Save The Children "Le equilibriste. La maternità in Italia nel 2022".

Forse siamo più consapevoli, così mi pare: il dibattito pubblico di questi mesi ha rotto quel muro di gomma costruito da un approccio sufficiente e irresponsabile dei gruppi dirigenti, politici e non, che hanno impedito per decenni di implementare politiche familiari degne di questo nome.  Due indicatori/ rivelatori tra i tanti:    basso tasso di natalità e condizione lavorativa femminile da paese in via di sviluppo. 

Scorriamo alcuni dati del Rapporto.

Le donne rinviano sempre più la scelta della maternità (l'età media del parto da noi è di 32 anni circa), e molte devono rinunciare al lavoro a causa dei carichi familiari. Oltre il 42% delle donne tra i 25 e i 54 anni con figli risultano non occupate, il 39% con due o più figli è in contratto part time. Basterebbero già questi dati, ma  vi è dell'altro.  All'ingiustizia lavorativa si aggiunge   il divario salariale:   gli uomini  guadagnano mediamente di più e già  all'avvio del percorso lavorativo, le ragazze sono più studiose, più brave a scuola, le migliori all'Università ma dopo il diploma se trovano un lavoro prendono  il 20% in meno dei maschi a parità  di mansioni. E con il passare degli anni il divario non si riduce, al contrario, tende ad aumentare:  già alle soglie dei 30 anni gli uomini mostrano una traiettoria salariale  in crescita mentre quella  femminile  si appiattisce del tutto. L'ingiustizia lavorativa si legge anche nella breve ripresa dello scorso anno durante la quale su 260 mila trasformazioni contrattuali a tempo indeterminato solo il 38% ha visto coinvolte donne, a cui aggiungiamo il dato del 2020 sulle dimissioni volontarie, di queste il 77,2% erano   lavoratrici madri. E va da sé che la madre che abbandona non lo fa per scelta ma perché non riesce a fare il resto, e chi resiste e non rinuncia al lavoro è costretta a ridurre l'orario -e quindi lo stipendio- o a scegliete il contratto part-time.  

Vediamo un altro dato.  Nel rapporto si utilizza un indicatore "l'indice delle madri" che misura l'impegno delle Regioni a sostenere la maternità, 11 indicatori divisi in tre aree: cura, lavoro e servizi. La graduatoria è prevedibile, ahimè: sono le Regioni del nord a fare meglio anche se il trend globale nel Mezzogiorno tende a migliorare soprattutto nell'area dei servizi della prima infanzia. In Italia complessivamente solo il 24,7% dei bambini frequenta un servizio socioeducativo per la prima infanzia  che vuol  dire, detto con parole crude, che a  prendersi cura dei restanti 75,3% ci sono i nonni, le amiche, le baby sitter, insomma qualcuno che stia a casa. Dunque, più che donne equilibriste, dal Rapporto  ricaviamo l'immagine di  donne   già cadute dalla fune tesa della vita, impossibilitate a reggere la condizione in cui si trovano.

 

Le risposte sono già note e illustrate: occorre uscire dalla logica dei bonus e passare a misure strutturali nel campo della cura, della conciliazione. Il family act lascia ben sperare ma è solo l'inizio, per attuarlo ci voglio i decreti attuativi.  Anche il PNRR ha previsto 230 mila posti in più negli asili nido%u2026 ma gli asili nido vanno costruiti, soprattutto nelle regioni del Sud.  Sono pure interessanti le proposte legislative   di  riduzione dei contributi a carico delle lavoratrici (e delle imprese)  che rientrano dopo aver avuto un figlio, con uno sgravio totale per i primi mesi come pure l'aumento del congedo parentale obbligatorio per gli uomini, oggi di soli dieci giorni da prendere nei primi 5 mesi di vita del neonato retribuiti al 100% da Inps. È poco più di una settimana rispetto ai 25 della Francia, ai 112 della Spagna o i 480 della Svezia, ma è un passo avanti. Lasciano ben sperare le iniziative di welfare aziendale sempre più numerose a sostegno della conciliazione/condivisione tra vita lavorativa e vita familiare.

Abbiamo scritto dell'urgenza di trasformare in meglio il nostro Paese. Ecco, non può esserci vera ripresa se a lavorare sono meno della metà delle donne. E non vi può essere libertà se le loro condizioni non saranno migliorate. Dignità è non essere   costrette a scegliere tra lavoro e maternità, ha ricordato il presidente Mattarella nel suo discorso di insediamento. 

  Per questo occorre un nuovo patto sociale che impegni la politica, le  rappresentanze sociali, sindacali e imprenditoriali a ridare senso e dignità  al lavoro, e ad una cultura che riconosca il valore sociale della genitorialità, una fecondità "familiarmente sostenibile", come ha scritto  Gian Carlo Blangiardo, presidente  Istat, alcuni giorni fa.

 

 

(Crediti fotografici: iStock.com/monkeybusinessimages)

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