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L'Italia ripudia la guerra

(di Edoardo Patriarca, presidente nazionale ANLA) Lo scoppio della guerra tra Iran e Israele (ora anche gli USA) dopo il conflitto tra Russia e Ucraina e quello tra palestinesi e israeliani nella Striscia di Gaza ci lascia l'amaro in bocca e la sgradevole sensazione di non contare nulla e di non poter incidere sui processi che viaggiano sopra le nostre teste, come i missili e i bombardieri che attraversano i cieli vicino a noi. Eppure la pace è l'unica prospettiva per immaginare il futuro di questo piccolo pianeta e dei suoi abitanti, umani e non. Non ci sono alternative, lo annuncia la nostra Costituzione, le Carte e le Convenzioni internazionali, il magistero della Chiesa, non ultimo Papa Leone che ha invocato una pace disarmata e disarmante. Ne siamo testimoni noi stessi, siamo la generazione che in Europa non ha conosciuto la guerra, e l'opzione di un eventuale richiamo di figli e nipoti alla leva per la guerra (come ahimè ancora accade ai giovani in altre parti del mondo) per noi non esiste.

Come portare avanti una proposta di pace a fronte di un linguaggio bellicista che  ormai invade lo spazio pubblico in ogni dove? Come contrastare la logica che da per scontato l'uso dell'intervento militare come strumento per risolvere i conflitti tra gli Stati, in una Europa che,   con troppa leggerezza, parla di riarmo senza spiegare i motivi, le ragioni, l'utilità e soprattutto dire da chi siamo minacciati? Le risposte non sono semplici, spetta  a noi adulti cercarle e perorare indefessi la causa della pace, fondamento per costruire soluzioni durature alle sfide che attendono il pianeta e l'intera umanità.

Solo alcuni pensieri.

Dobbiamo trovare parole nuove per non apparire ingenui, "quelli dei valori" bravi a dichiararli ma fuori dal contesto della vita reale. Parole e narrazioni nuove perché la pace è più difficile della guerra, è fragile e per questo bella come un vetro di Murano. Se il racconto della guerra appare razionale e performante, il racconto di pace al contrario si presenta impalpabile, un sentimento che poco impatta con la vita concreta e con la dura realtà. Se per l'avvio del racconto di guerra basta un evento che accada anche una sola volta (un bombardamento, una schermaglia), il racconto di pace per emergere e mostrare i suoi effetti deve accadere in continuazione e durare nel tempo se vuole fare notizia.

Parole disarmate, e aggiungo una politica del dialogo e della diplomazia, faticosa e persino sfiancante, per rovesciare le liturgie della guerra: un nemico da sventolare, paura e  rivalsa, ritorsione e  vendetta, l'ostentazione della forza delle armi, il mito della deterrenza (se sono armato più di te avrai più paura ad attaccarmi).

Come ne veniamo fuori e cosa possiamo agire come cittadini singoli e associati? 

Anzitutto con la testimonianza personale in ogni luogo e situazione che viviamo. La pace è uno stile di vita che va curato e conquistato giorno dopo giorno, mai darlo per acquisto una volta per tutte. 

In seconda battuta il valore del nostro associarci, la premura per le relazioni, il pensiero critico per discernere insieme la via migliore da intraprendere, i gesti e i riti associativi che promuovono la pace e l'amicizia sociale, le attività di volontariato. 

E poi, non ultimo, un agire politico fedele alla nostra Carta (l'Italia ripudia la guerra) testimoniato non solo nelle manifestazioni ma vigilando che ogni decisione e provvedimento venga agito nel nome del bene comune: la cura e la presa in carico, la prevenzione dei conflitti, la giustizia riparativa, gli istituti di conciliazione, la coprogrammazione e la democrazia del fare le cose insieme. ANLA è anche questo, un luogo per condividere e praticare pensieri di pace, per non rassegnarci e "tirare i remi in barca". La nostra storia, il nostro statuto non c'è lo consentono. 

 

 

(Crediti fotografici: iStock.com/ EyeEm Mobile GmbH)

 

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