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La salute è un diritto

(di Edoardo Patriarca, presidente nazionale ANLA) Ne abbiamo parlato spesso nelle nostre newsletter, il tema della sanità da anni è nell'agenda della nostra associazione e nei pensieri dei gruppi. Lo abbiamo fatto a ragion veduta,  per ricordare a noi tutti e alle istituzioni che il diritto alla salute, al "bene- essere", è un diritto fondamentale  inscritto nell'articolo 32 della Costituzione. Sono tante le preoccupazioni, persino il presidente Mattarella se ne è fatto carico lunedì scorso al Festival delle Regioni per la sanità a Torino affermando che "il servizio sanitario nazionale è un patrimonio prezioso da difendere e adeguare", invitando le istituzioni a fare squadra secondo lo spirito costituzionale della leale collaborazione fra enti e istituzioni. 

Come nostro solito, partiamo dai dati che ci forniscono l'Istat e, ultimi, quelli di Agenas, l'Agenzia per la sanità delle Regioni. La legge di bilancio per il 2024 prevede una riduzione della spesa sanitaria da 6,6 % del pil nel 2023, al 6,2 % nel 2024 (va ricordato che in Germania e in Francia il rapporto supera il 10%). Per essere più precisi, in numeri assoluti, la nota di aggiornamento al documento di economia e finanza riduce il fondo nazionale da 134,7 a 132,9 miliardi tanto che il presidente della Conferenza delle Regioni Massimiliano Fedriga, assieme ad altri presidenti, ha chiesto al governo di porvi rimedio. Lo stesso dicasi per il ministro Schillaci che in questi mesi aveva  chiesto di aumentare il fondo nazionale di almeno quattro miliardi. 

La riduzione prevista promette di essere uno dei temi centrali sulla prossima legge di Bilancio, se ne vedono le prime avvisaglie, davvero c'è troppa confusione: noi ci auguriamo che il taglio preventivato venga annullato e incrementato il fondo nazionale.

Ma vediamo alcuni dati di Istat e di Agenas  per uno sguardo su ciò che sta accadendo nelle famiglie. Mi soffermo su due in particolare. La prima criticità sono  le liste di attesa ormai esplose:  l'offerta pubblica è (tragicamente) più bassa rispetto alla domanda, ci troviamo di fronte ad un  sistema nazionale che non riesce a lavorare neppure con gli stessi ritmi degli anni prima del Covid. Ne consegue che un italiano su tre quando deve fare una visita o un esame diagnostico si rivolge al sistema privato pagando di tasca propria. Si calcola che   il 35% di coloro che hanno bisogno di farsi visitare da uno specialista o fare accertamenti, non passano attraverso strutture pubbliche o convenzionate ma si rivolgono ai centri privati o all'intramoenia, cioè alla libera professione dei dipendenti del servizio sanitario nazionale. Secondo l'Istat la spesa privata delle famiglie per la sanità nel 2012 si attestava sui 34,4 miliardi, nel 2022 la spesa è schizzata a 41,5 miliardi: di questi, 20 miliardi sono per visite specialistiche, 15 miliardi per comprare farmaci, 6 miliardi per ricoveri ospedalieri o ricoveri a lungo termine. Per non parlare delle assicurazioni che hanno aumentato le loro quote di mercato: un esempio è il welfare aziendale, sono 15 milioni le persone che ne usufruiscono, per un valore di 3 miliardi. Sono dati  impressionanti. 

L'altro dato di criticità  è la fuga dal sistema pubblico  di medici e personale sanitario per salari troppo bassi rispetto a quelli offerti dalle strutture private, o guadagnati in libera professione o  facendo i turnisti nei pronti soccorsi. Anche questo dato è impressionante. È stato firmato il nuovo contratto per la dirigenza medica e sanitaria, sono previsti i rinnovi degli altri contratti. Vedremo se saranno sufficienti a fermare l'emoraggia. Ne dubito.

Sono due dei tanti dati che Istat, Agenas mettono a disposizione dei decisori. A me preme dirvi, con rammarico, che  abbiamo una memoria collettiva davvero labile. Soltanto tre anni fa abbiamo innalzato ad eroi medici e infermieri, ci siamo impegnati ad assumerne migliaia, ci siamo detti all'unisono che la sanità andava rafforzata, che andavano rafforzati i presidi territoriali (le case e gli ospedali di comunità), che mai più ci saremmo trovati impreparati di fronte ad una nuova pandemia. Oggi siamo ancora qui, e non è questione da poco: se non viene tutelato il diritto alla salute, il ben vivere, gli altri diritti non esistono. Le persone che non riescono a curarsi sono  le persone che  faticano a vivere, hanno una vita più limitata e meno opportunità. Non possiamo permetterlo.

Come associazione facciamoci vigili, non per entrare nella contrapposizione politica, ma per ricordare laddove siamo presenti, soprattutto  a livello regionale, indipendentemente dal colore di chi ci governa,   che parlare di sanità oggi è questione vitale, che non possiamo  concederci  una ulteriore riduzione dei servizi già oggi precari. È un compito che spetta alla cittadinzanza attiva, al vasto mondo della associazionismo di cui facciamo parte,  per ricordare alla politica e a tutti in soggetti responsabili di fare meglio per il bene comune, per non rivivere quello   che è accaduto durante il Covid e quello che potrebbe ancora accadere di fronte a una nuova pandemia.

 

 

(Crediti fotografici: iStock.com/ jacoblund)

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