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La gestione dei fenomeni migratori

(di Edoardo Patriarca, presidente nazionale ANLA) È un tema divisivo, complesso e con infinite  connessioni con altre problematiche. Proviamo di nuovo a fare il punto sulla gestione dei fenomeni migratori, soprattutto dopo l'accordo europeo ritenuto da alcuni insufficiente, da altri un passo in avanti. Il negoziato è iniziato in salita, sembrava che tutto stesse fallendo, ma poi, come spesso accade a Bruxelles, si è giunti ad un accordo in extremis. 

Il nuovo patto sulle migrazioni ha due capitoli chiave: la revisione della procedura d'asilo e la gestione dei flussi migratori. Il primo  vuole riformare l'iter comune   in tutta l'Unione per la concessione o la revoca della protezione internazionale con procedure più rapide   alle frontiere: è stato stabilito un termine massimo di 12 settimane entro il quale deve avvenire l'esame delle domande di asilo. Il secondo capitolo prevede una quota annuale di posti da ripartire in ogni paese sulla base di una formula che tiene conto del prodotto interno lordo e della popolazione di ciascun Stato, un bacino di circa 30.000 ricollocamenti l'anno. I paesi che non vorranno partecipare al meccanismo distributivo pagheranno 20 mila euro per ogni migrante non accolto. Inoltre saranno individuati paesi terzi, non quelli di origine, verso i quali rinviare i migranti  espulsi in caso di arrivi incontrollabili. Da ultimo la Commissione ha messo a punto alcuni cambiamenti della versione attuale del regolamento di Dublino con nuove disposizioni pensate soprattutto   per i paesi di primo ingresso.

Monumento al Migrante, Roma, Piazza San Pietro

 

I critici rilevano che i nodi più problematici rimangono irrisolti: il primo è l'individuazione dei paesi terzi di transito sicuro  nei quali eventualmente rinviare i migranti irregolari arrivati nella Ue attraverso il loro territorio, una soluzione  che alcuni esperti ritengono leda i principi del diritto internazionale su asilo e accoglienza; a molti appare assai fragile  anche la creazione di un fondo destinato ai paesi terzi di origine e transito dei flussi - alimentato con le quote che pagheranno i paesi UE che rifiutano  la redistribuzione dei migranti dai paesi in prima linea - per la difesa dei loro confini nazionali, per la lotta ai trafficanti e per aumentare la capacità di accoglienza.

Gli altri nodi vi sono noti, ne abbiamo parlato in altre occasioni, si trascinano ormai da decenni: l'assenza di vie legali per l'accesso nel nostro paese, e la conferma  del ruolo dei paesi di primo approdo  di fatto lasciati ancora soli; i ricollocamenti in ambito UE rimasti non obbligatori e i rimpatri affidati alla responsabilità dei singoli stati e non alla Unione Europea; i decreti flussi che non funzionano e generano ogni anno dai 300 ai 500.000 irregolari causati dalle  inefficienze delle nostre istituzioni che dopo la sanatoria del 2020, tre anni passati, hanno esaminato appena la metà delle richieste. Aggiungo la riforma della cittadinanza per regolarizzare le seconde e  terze generazioni, un milione di ragazzi e ragazze nati in Italia o che hanno  studiato nelle nostre scuole; la regolamentazione per il riconoscimento dei titoli di studio, la velocizzazione delle procedure per i ricongiungimenti familiari, i corridoi umanitari  istituzionalizzati a livello europeo, canali regolari per motivi lavorativi e  la possibilità di convertire in permessi di protezione speciale in permessi di lavoro. Ho citato i più significativi.

Certo,  è positivo che i ministri dell'interno europei - che non ragionavano su queste tematiche dal 2015 -  abbiano ripreso una riflessione sull'agenda europea su immigrazione e asilo,  e il merito va dato all'attuale governo.

Manca ancora   una visione programmatica per governare un fenomeno complesso e strutturale, insomma di strada ne dobbiamo fare ancora tanta. E purtroppo, con dolore, continueremo ad assistere alle stragi provocate dai naufragi nel Mediterraneo.

 

 

(crediti fotografici: Antonello Sacchi)

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