(di Edoardo Patriarca, presidente nazionale ANLA) È indubbio: in questi anni abbiamo assistito a un cambio di passo nella discussione sui cambiamenti climatici; dalla presa d'atto (non scontata) si è passati al confronto sulle soluzioni possibili e quindi sulle scelte da compiere. L'agenda green della Commissione Ue fa dell'Europa una protagonista di questo cammino, il ritorno degli Stati Uniti negli accordi di Parigi sul taglio delle emissioni nocive lascia ben sperare. Ma non sarà una passeggiata: sono ancora tante le difficoltà e le resistenze alla definizione di un cammino condiviso.
In più, la crisi pandemica - da qualche mese anche bellica - sta stemperando l'importanza della questione climatica e ambientale, rallentando la corsa verso gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell'agenda Onu 2030. Le pressioni sui bilanci nazionali, l'aumento della spesa militare con i conseguenti cambiamenti nelle priorità strategiche, soprattutto nei paesi europei, potrebbero indurre i governi a ridurre a livello globale la disponibilità dei fondi destinati allo sviluppo sostenibile.
Tuttavia, la pace, la sicurezza alimentare e persino la salvaguardia della salute di fronte all'insorgenza di malattie infettive non sono disgiunte dalla cura che riponiamo nei confronti dell'ambiente.
Le nostre società e le nostre economie vivono all'interno della biosfera e dipendono dai sistemi naturali e dalle risorse in essi presenti. Per questo non dobbiamo diminuire l'attenzione verso clima e ambiente, dobbiamo riconoscere la profonda interrelazione dei nostri sistemi naturali, sociali ed economici consapevoli che il mantenimento di un ambiente sano è garanzia universale di pace, diritti e prosperità. Si è parlato tanto di economia circolare: forse non basta più, occorre passare ad un modello socio economico rigenerativo e circolare al contempo, in grado, oltre a riutilizzare le risorse e non produrre residui, anche di rigenerare la biosfera.
Se questa è la direzione da intraprendere, noi cosa possiamo fare?
Anzitutto maturare consapevolezza e certezza, lo abbiamo detto alla Summer School di Venezia, che le nostre scelte e decisioni quotidiane, gli stili di vita, possono davvero trasformare in positivo la qualità dell'ambiente nel quale viviamo.
A livello associativo è di valore l'impegno volontario di molti gruppi Anla nel ripulire spiagge e parchi: è una bella testimonianza.
Lancio ora una provocazione.
Il contrasto al cambiamento climatico passa anche dalle città, in particolare dalla valorizzazione del verde urbano. Gli alberi sono eccezionali purificatori d'aria grazie al processo della fotosintesi clorofilliana. Oltre a "mangiare" CO2, riducono la temperatura dell'ambiente in cui si trovano durante i mesi più caldi e creano con le loro chiome un forte ombreggiamento mitigando il fenomeno delle isole di calore urbane. L'obiettivo fissato dal governo è la piantumazione di 6,6 milioni di alberi entro il 2024 per 6600 ettari di foreste urbane con una dotazione finanziaria di 330 milioni di euro. Per parte sua, l'Unione europea mira a piantare almeno tre miliardi di alberi entro la fine del decennio; i centri europei di almeno 20.000 abitanti sono invitati a elaborare piani di inverdimento urbano: boschi, parchi e giardini accessibili. In Italia sono solo 8 su 109 i comuni capoluogo di provincia che dichiarano di avere elaborato un piano del verde. Anche in termini di metri quadri di verde urbano accessibile per abitante, mediamente le città italiane fanno peggio di quelle del Nord Europa. Solo il 17% dei comuni capoluogo di provincia supera la soglia dei 9 mq per abitante, minimo standard raccomandato dal OMS e metà dell'attuale media europea. Sono dati sconosciuti ai più: perché come gruppi Anla non proviamo a raccogliere i dati sul verde urbano della città in cui viviamo, verificare se esiste un piano di inverdimento urbano e aprire un confronto con l'amministrazione locale?
(Crediti fotografici: iStock.com/ Booblgum)
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