(di Edoardo Patriarca, presidente nazionale ANLA) La questione salariale da alcuni mesi si è imposta nel dibattito pubblico delle principali economie europee assieme alla questione del salario minimo legale. L'Italia è uno dei pochi paesi Ue a non averlo ed è, tra l'altro, l'unico paese europeo ad aver registrato una diminuzione delle retribuzioni dal 1990 ad oggi.
Vediamo di approfondire. Va detto in premessa che l'introduzione del salario minimo è un tema complesso, serio e delicato, che va ad incidere sui meccanismi dell'economia e del mercato del lavoro più di quanto si pensi. In verità, oggi di salari minimi in Italia ne esistono più di novecento, tanti quanti sono i contratti registrati dal Cnel, molti dei quali firmati da rappresentanze sconosciute (i cosiddetti "contratti pirata") che si sovrappongono tra loro stabilendo minimi salariali diversi per lo stesso insieme di lavoratori, un caos che impedisce ai lavoratori di sapere qual è il compenso minimo garantito e ai giudici qual è il salario equo da far valere in caso di contenzioso.
Alcuni progetti di legge depositati in Parlamento prevedono (semplifico un po') una cifra minima oraria lorda (si aggira sui 9 euro circa): è una scelta contestata dalle parti sociali timorose di quanto potrebbe accadere. Detto in poche parole, se la quota oraria stabilita per legge fosse troppo alta si favorirebbe il lavoro nero e il falso lavoro autonomo; viceversa, se fosse troppo bassa, i contratti di categoria potrebbero essere superati da una corsa al ribasso dei salari, con aziende che invece di applicare i minimi salariali dei contratti nazionali decidono furbescamente di uscire dalle associazioni datoriali per applicare il salario minimo legale. Da aggiungere che in un contratto, ottenuto nella contrattazione collettiva, ci sono altre tutele e diritti che rischierebbero di scomparire distruggendo il sistema di welfare contrattuale (enti bilaterali, fondi assistenza sanitaria%u2026) costruito in questi decenni e quindi danneggiando i lavoratori.
Come se ne esce? Anzitutto una premessa: va garantito il diritto di accedere ad un salario degno come ci ricorda la Carta costituzionale, senza cadere ovviamente in norme e rigidità che più che risolvere i problemi del mercato del lavoro, li aggravano.
Sono due le vie possibili, peraltro tracciate dalla direttiva europea sul salario minimo: quella per legge o quella per via contrattuale. Personalmente scelgo la seconda, una soluzione non invasiva e rispettosa, che pone come architrave del progetto la contrattazione collettiva che in Italia copre l'80% del mercato del lavoro. Non è un passaggio semplice, la difficoltà sta nel definire i confini contrattuali che danno una interpretazione funzionale al principio di validità erga omnes dei contratti sottoscritti dalle organizzazioni sindacali e imprenditoriali più rappresentative. Un problema ancora irrisolto: chi riconosce queste organizzazioni? Con quali criteri? Lo fanno i giudici in caso di contenzioso? La norma prevista dall'articolo 39 della Costituzione, quello delle rappresentanze sindacali, non è stata mai regolata (registrazione e statuto democratico). Ne discende che il valore erga omnes dei contratti nazionali firmati dalle organizzazioni più rappresentative rimane sempre un po' "sospeso", manca cioè un meccanismo legale che riconosca quegli accordi validi per tutti i lavoratori del medesimo settore produttivo. Le organizzazioni sindacali e imprenditoriali più rappresentative ne trarrebbero vantaggio, si porrebbe ordine al caos della contrattazione collettiva che oggi lascia una fascia di lavoratori senza protezione e crea condizioni diverse tra imprese simili minando in tal modo il principio di leale concorrenza.
Se giungessimo a questo punto (alcuni disegni di legge lo propongono), allora sì che il salario minimo legale potrebbe essere utile e necessario per quelle imprese (non sono poche) non coperte dalla contrattazione collettiva. Un salario minimo stabilito per legge la cui definizione verrebbe delegata ad una commissione indipendente che l'aggiornebbe ogni anno, come già accade in Inghilterra, Germania, Francia e Irlanda.
In sintesi: l'architettura è la contrattazione collettiva fra organizzazioni sindacali e datoriali più rappresentative; vanno stabilite norme, non necessariamente univoche e generali (ogni settore produttivo ha le sue peculiarità che vanno rispettate) per individuare le organizzazioni più rappresentative; un salario minimo definito anno per anno da una commissione indipendente per i lavoratori non compresi nella contrattazione collettiva (penso ai servizi e al terziario...).
Il Ministero del lavoro ha aperto il cantiere: il salario minimo di riferimento potrebbe essere il TEC (trattamento economico complessivo) firmato da Confindustria e dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative. Il TEC ovviamente tiene dentro tutto, il minimo più tutti i compensi legati a produttività e welfare. Bene, mi pare però che i nodi che vi ho solo accennato debbano ancora essere affrontati.
Come associazione seguiremo il dibattito con attenzione.
(Crediti fotografici: iStock.com/AndreyPopov)
Non sei ancora
iscritto ad ANLA?
Scopri come entrare a far parte dell'Associazione.
Convenzioni
Scopri tutte le offerte e convenzioni riservate esclusivamente agli associati ANLA
scopri di piùEsperienza
La rivista mensile di attualità, cultura e informazione della nostra Associazione. Per i soci anche online.
scopri di piùNewsletter
Iscriviti alla nostra mailing list per ricevere tutte le notizie e gli aggiornamenti dell'Associazione.
Inserisci email e password per accedere all’area riservata
Compila il form con i tuoi dati per richiedere i moduli di iscrizione
Perchè iscriverti?Hai dimenticato i tuoi dati di accesso ? Inserisci la tua e-mail e te li invieremo.