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Il Piano Mattei

(di Edoardo Patriarca, presidente nazionale ANLA) La Conferenza internazionale organizzata dal Governo a Roma alcuni giorni fa per illustrare il cosiddetto Piano Mattei può apparire una questione lontana e di scarso interesse. In realtà, e cercherò di spiegarlo, seppure di lato, il Piano Mattei e le prospettive che vorrebbe aprire riguardano il futuro del Paese e quello delle prossime generazioni. 

Anzitutto, di cosa stiamo parlando? Il Piano Mattei è stato approvato da poco in Parlamento, regolamenta la struttura di governo che dovrà attuare il Piano. Stanzia 5 miliardi per il progetto, non fondi aggiuntivi ma presi a "prestito" dal Fondo per la transizione climatica, 3miliardi, e 2,5 miliardi dal Fondo per la cooperazione allo sviluppo. Diciamo una partita di giro, tanto che la presidente Von Der Leyen è venuta in "soccorso" alla presidente Meloni associando il Fondo del Piano Mattei al Fondo europeo Global Getway di 150 miliardi. È questo il primo elemento di fragilità sebbene la presidente Meloni abbia annunciato  il contributo di aziende private e di altri Stati donatori. Altri elementi di criticità: le delegazioni presenti al meeting provenivano da 25 paesi sui 54 totali, non è poco ma mancavano alcuni paesi "pesanti" come la Nigeria e altri; poche le ore di lavoro dedicate, nessun gruppo di lavoro collegiale, tutto  concentrato sulla presentazione dei progetti pilota gestiti dai ministeri sui 5 ambiti previsti dal Piano: istruzione, salute, agricoltura, acqua e energia. 

Tuttavia possiamo dire che l'immagine internazionale della presidente Meloni ne esce bene: oltre ai 25 paesi africani, erano presenti gli ambasciatori del G7, la presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola, la Presidente della Commissione Von der Leyen e Charles Michel presidente del Consiglio europeo. Erano presenti le grandi aziende pubbliche Eni (l'artefice della conferenza), Enel, Leonardo, Fincantieri, Acea, Terna, mancavano le ONG che da sempre sono attive nel continente africano. 

Nonostante le fragilità che abbiamo evidenziato, si tratta comunque per il nostro Paese di un'iniziativa importante che auspichiamo abbia ulteriore successo, per il bene comune della nostra comunità e della comunità internazionale, perché oggi più che mai, parafrasando Thomas Merton,  "nessun uomo è un'isola".

Entriamo sui contenuti e sulla visione, quelle che ci stanno più a cuore.

Il presidente dell'Eni Enrico Mattei morto in un incidente aereo (si parlò di un attentato terroristico) aveva avviato controcorrente un rapporto con i paesi africani improntato sul vantaggio reciproco, sul rispetto e la collaborazione,  con lo sguardo sempre attento al futuro dei rapporti tra Italia e Africa. Il Piano italiano battezzato con il suo nome ci auguriamo prosegua sulla traccia dei valori che Mattei testimoniò, contrastando la logica colonialista, spesso predatoria, che animava l'azione di  aziende petrolifere di altri paesi. Per questo in Africa non si sono sviluppate democrazie solide,  società civili libere e autonome, e hanno preso piede gruppi dirigenti corrotti e complici. Il sistema è saltato da tempo, e oggi i nuovi protagonisti sul campo sono la Russia con la sua presenza militare, e la Cina che finanzia e foraggia con generosità  progetti che portano i paesi ad indebitarsi oltre il dovuto. 

Quale ispirazione possiamo trarre dalla visione di Enrico Mattei? Direi così: dall'idea   presuntuosa che è l'Africa che ha bisogno di noi, e che noi abbiamo tutte le chiavi per dire come devono svilupparsi ad una visione che siamo noi ad aver bisogno dell'Africa, della sua cultura, delle sue tradizioni, della sua forza innovativa. Un rapporto finalmente paritario, di reciproco interesse che nulla ha a che vedere con lo slogan "aiutiamoli a casa loro" (retropensiero: non venite a casa nostra!). O come quello falsamente solidale "andiamo in Africa con progetti e risorse nostre" e facciamo tutto noi.

Lo aveva intuito Robert Schuman nel discorso dell'Orologio del 9 maggio del 1950, ritenuto l'atto fondativo della Comunità europea: "Se potrà contare su un rafforzamento dei mezzi, l'Europa sarà in grado di proseguire nella realizzazione di uno dei suoi compiti essenziali: lo sviluppo del continente africano".

Ma perché l'Europa, l'Italia, hanno bisogno dell'Africa? Cosa c'entra con nostra vita e il futuro dei nostri nipoti? Due punti. Abbiamo prosperato garantiti dalla protezione militare statunitense e dalle fonti energetiche russe, e abbiamo commerciato alla grande con la Cina: ma sarà ancora così nel prossimo futuro? Ho molti dubbi. E allora quale sarà il continente con il quale costruire una nuova partnership? L'Italia, è il secondo punto, nei prossimi trent'anni sarà un paese pesantemente invecchiato, avremo problemi di sostenibilità del welfare, carenze di lavoratori (già accade),   ampie zone interne disabitate e con un patrimonio immobiliare che rischia di essere totalmente abbandonato. 

Il continente più vicino a noi è quello africano, esplode di gioventù, ricchissimo di risorse, di culture e tradizioni troppo spesso sconosciute. Riusciremo a pensare una nuova politica e a prospettive di sviluppo condivise? L'Italia non potrebbe diventare l'hub strategico, il ponte per tutta l'Europa, e il Mediterraneo tornare ad essere crocevia di incontri e nuove contaminazioni culturali?

 

 

(Crediti fotografici: iStock.com/ Golden_Brown)

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