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Il mondo degli invisibili

(di Edoardo Patriarca, presidente nazionale ANLA) La morte sul lavoro di Satnam Singh rimasto coinvolto in un terribile incidente  in un'azienda agricola nella periferia di Latina, e abbandonato dai  datori di lavoro davanti alla sua abitazione dopo aver subito l'amputazione di un braccio per opera di un avvolgiplastica trainato da un trattore, riaccende i riflettori sul mondo dello sfruttamento e del caporalato oramai presente in tutta Italia. Un mix terribile di schiavismo e di una inaccettabile crudeltà, tanto che la stessa Presidente Meloni ha definito la morte del bracciante indiano "un atto disumano che non appartiene al popolo italiano".

È il mondo degli invisibili, degli schiavi delle campagne, delle persone disperate che vivono una condizione di bisogno ed hanno necessità di lavorare. Una situazione di illegalità diffusa che va da Nord a Sud, e che riguarda tutte le regioni italiane che, si può dire, si sono "specializzate": osservando la distribuzione geografica dei singoli settori produttivi emerge che il fenomeno   caporalato e sfruttamento lavorativo in agricoltura si concentra soprattutto al Sud, mentre   al Centro più nel settore manifatturiero,  mentre il Nord è quello del settore dei servizi che spicca maggiormente.

Come combattere un mercato del lavoro illegale e immorale, che penalizza gli imprenditori onesti e non aiuta il nostro sistema produttivo a innovarsi? Come associazione abbiamo detto la nostra in numerose occasioni. Sappiamo quali sono i provvedimenti necessari per tranciare alla radice questa ecatombe sociale. Abbiamo scritto che sono necessari più controlli e repressioni, che va potenziato l'Ispettorato Nazionale del Lavoro e cercare un miglior coordinamento tra enti pubblici. Ma non sono sufficienti. Il fenomeno è tragicamente più complesso e con risvolti psicologici assai rilevanti. Lo sfruttatore trova "consenso" negli  stessi lavoratori che in ragione dello stato di bisogno in cui si trovano li porta a cercare un impiego a qualsiasi condizione. Stiamo parlando di lavoratori  privi di tutele contrattuali e sindacali, irregolari e indifesi, ed esclusi dal sistema dei diritti sociali che un paese democratico degno di questo nome dovrebbe garantire a tutti. La loro invisibilità li costringe ad accettare una flessibilità quasi inumana, tutta nelle mani dal datore di lavoro che ha il controllo su tutte le prestazioni, sui tempi e sulla paga oraria. Il sistema ha tratti simili all'antico schiavismo perché nel momento in cui una persona dipende per tutto -per l'alloggio, il cibo, la paga  e per la stessa possibilità di stare in Italia-  dal sistema di caporalato, la persona diventa oggettivamente uno schiavo.  

È inutile nasconderlo e fare finta di non vedere: la maggior parte dei casi di sfruttamento coinvolge cittadini stranieri, sono richiedenti asilo in attesa di un permesso che dia loro la possibilità di trovare una regolare occupazione. Peccato che l'attesa spesso duri fino a 2 anni, se non di più. Nel frattempo sono ospitati nei Centri di accoglienza straordinari, in attesa. E cosa accade nella realtà? Che molti di loro pur di inviare un po' di soldi alla propria famiglia nel paese di origine, per dare una risposta al loro viaggio migratorio, accettano qualsiasi tipo di condizione lavorativa. Se poi non viene accolta la domanda di asilo scatta il meccanismo di espulsione, un foglio di via rilasciato dalla Questura che dovrebbe obbligare la persona a ritornare nel proprio Paese. Ma il meccanismo non funziona, le espulsioni veramente effettuate sono poche, la gran parte dei richiedenti rimangono nel nostro Paese e diventano irregolari e invisibili.

Non si può andare avanti così, il sistema produttivo del paese nei prossimi anni avrà sempre più bisogno di lavoratori, la richiesta di manodopera straniera crescerà. L'ufficio studi di Confindustria stima in 600 mila unità il numero di persone straniere richieste annualmente dal nostro sistema produttivo. Si tratta per davvero di cambiare la prospettiva con una politica che non parla solo di riduzione degli ingressi e di espulsioni, o una politica solo buonista e delle frontiere aperte. Perché un paese per essere accogliente l'accoglienza -scusate il gioco di parole- la deve fare bene, con cura, oltre l'emergenza del momento. E siamo capaci di farlo, abbiamo gestito dignitosamente l'accoglienza delle tante famiglie ucraine. Se accogliamo nella nostra casa una famiglia di profughi, se accogliamo amici che magari hanno perso la propria abitazione  per una alluvione, siamo consapevoli, noi e gli ospitati, che questa è una emergenza e  che poi si dovrà tornare appena possibile alla normalità, per dignità.

Le proposte sono già scritte, ne accenno due ( ma sono molte di più): perché non avviare un provvedimento di regolarizzazione ben governato e controllato degli oltre 600 mila irregolari già presenti in Italia? Perchè non modificare la legge Bossi Fini con l'introduzione di un permesso di soggiorno temporaneo per la ricerca del lavoro e il ripristino della figura dello sponsor, certificato e accreditato, (istituzioni, sindacati, associazioni imprenditoriali, enti di terzo settore) che   aiuti le persone straniere nella prima fase di arrivo in Italia ad inserirsi nel sistema sociale e lavorativo del nostro Paese?

 

(Crediti fotografici: iStock.com/ OlenaMykhaylova)

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