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Il diritto alla salute

(di Edoardo Patriarca, presidente nazionale ANLA) La salute è uno dei diritti fondamentali   inscritti nella Carta Costituzionale, un bene primario garantito da un servizio sanitario nazionale che in virtù di ciò ha (o dovrebbe avere)   carattere di universalità, equità e gratuità. Ma sulla carta! Spiace dirlo: il diritto alla salute oggi è sì assicurato, ma alla parte della popolazione che può accedere a prestazioni e sevizi in tempi rapidi utilizzando la cosiddetta intramoenia o la sanità privata. I cittadini a basso reddito e scolarità -si calcolano che siano almeno dieci  milioni- al contrario devono affrontare  liste di attese infinite,   costretti spesso a dover rinunciare a prestazioni e servizi prescritti dai loro stessi medici di base.

Non voglio drammatizzare, ma il sistema sanitario del nostro paese è davvero a rischio, nonostante cresca la domanda di salute a causa dell'invecchiamento della popolazione e della conseguente insorgenza di patologie in gran parte croniche che provocano l'aumento dei costi in nuovi farmaci e tecnologie. È l'allarme lanciato da  quella società civile che ha a cuore il sistema che ha regalato agli italiani una eccellenza pubblica e un tasso di longevità tra i più alti al mondo.

Cerchiamo di capire. A leggere i dati dell'ultima legge di bilancio il fondo sanitario nazionale è stato incrementato di 2 miliardi, come accade da anni; ne dovremmo dedurre che le risorse a disposizione  siano dunque più che sufficienti. Ma se andiamo in profondità scopriamo che il valore percentuale rispetto al Pil non  è aumentato né tantomeno si è mantenuto costante: è calato anno dopo anno, il che significa che finanziamento e  spesa, confrontati anche con l'inflazione, si sono ridotti a valori che li  riportano addirittura al 2004. La percentuale di Pil dedicata alla Sanità è oggi al 6,1%, troppo bassa secondo gli istituti di ricerca più accreditati che indicano in un punto e mezzo in più (tra i 18 e i 25 miliardi) l'incremento necessario per far fronte ai bisogni di salute. Sono i dati europei ha riportarci alla cruda realtà: nel 2020 la spesa pubblica nominale pro capite in dollari nel Regno unito è stata pari a 5.019 dollari, in Germania 6.939,  in Francia 5.468, in Italia si è fermata a 3.747.

L'elenco delle criticità è noto: numero chiuso nelle facoltà di medicina, limitatezza delle borse di studio per le scuole di specializzazione, innalzamento dell'età dei dottori, perdita di attrattività della professione, errori strategici di programmazione, poca innovazione, ricorso limitato alla telemedicina e all'assistenza domiciliare che dovrebbe prendersi in carico almeno il 10% della popolazione anziana rispetto all'attuale 5%. E, per completare, aggiungiamo il boom dei medici a gettone per tappare i buchi  delle aziende ospedaliere, o l'assenza della medicina territoriale che porta ad intasare i pronto soccorso all'inverosimile.

Se il grado di civiltà di un paese si misura da come ci si prende cura delle persone più fragili, forse qualche interrogativo dobbiamo porcelo seriamente: penso ai malati che hanno bisogno di cure palliative (sono solo 800 gli hospice, una sessantina collocati in Lombardia), ai portatori di malattie rare, ai  malati mentali spesso abbandonati o in carico alle famiglie, alla sanità nel nostro mezzogiorno e alla desertificazione di servizi nelle aree periferiche del paese. Penso alle persone anziane (e non solo anziane) non autosufficienti: appena 3 su 100 godono dell'assistenza domiciliare integrata, 18 ore annuali: una distanza abissale dai parametri internazionali che prevedono almeno 20  ore mensili. Una manciata di ore quasi sempre affidate a cooperative, spesso con personale poco formato: operatori socio sanitari piuttosto che infermieri professionali, fisioterapisti riabilitatori o medici. Vale la pena ricordare un dato assai sottovalutato:   la mancanza di assistenza domiciliare fa crescere i tempi di ricovero e i costi sul sistema. Sono più di un milione le persone che restano in ospedale oltre il dovuto, perché non hanno le forze per badare a se stessi, lavarsi, rifare il letto, fare la spesa, o provvedere alle medicazioni personali. Si calcolano in 2 milioni le giornate di ricovero improprie, solo in medicina interna: ci vuole poco a fare il conto della spesa in più in carico al sistema.

Il PNRR stanzia quasi 4 miliardi per la Sanità, si prevede un investimento su case e ospedali di comunità:  indubbiamente è un passo in avanti, ma è una speranza che  porterà frutti   solo se sarà accompagnata da un investimento sul personale sanitario, il primo capitale per avere una buona sanità come tutti la desideriamo.

 

 

(Crediti fotografici: iStock.com/ gpointstudio)

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