(di Edoardo Patriarca, presidente nazionale ANLA) Domenica scorsa a Sharm El Sheikh in Egitto si è aperta la 27esima Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, comunemente denominata Cop27, come noto per discutere e concordare le azioni necessarie a mitigare il cambiamento climatico. La precedente Conferenza svoltasi l'anno scorso a Glasgow era terminata con l'approvazione di impegni per la riduzione delle emissioni di metano, la protezione delle foreste e la progressiva messa al bando delle fonti fossili.
È passato solo un anno, un anno pesante che ci ha fatto regredire di decenni: gli equilibri internazionali dopo l'invasione dell'Ucraina da parte della Federazione Russa sono cambiati profondamente; è aumentata la frammentazione della Comunità internazionale; è diventata ancor più fragile la volontà di affrontare i cambiamenti climatici come priorità comune e condivisa. Saremo franchi: le premesse con cui si è aperta la Cop27 e l'esperienza delle passate Conferenze fanno pensare che anche quest'anno il documento finale sarà una lista di impegni vaghi e insufficienti a contenere la catastrofe climatica.
Eppure l'approccio multilaterale (che vorremmo fosse praticato anche per la gestione dei conflitti, una conferenza multilaterale per la pace in Ucraina per esempio) è l'unica chiave per ritenere il Pianeta un bene comune. Si tratta tuttavia di un multilateralismo non vincolante, senza poteri, spiace doverlo ammettere, che fotografa la realtà: nonostante il surriscaldamento globale non conosca confini e abbia effetti su tutti i Paesi a prescindere da chi sia più responsabile, gli Stati continuano a preferire politiche climatiche nazionali piuttosto che negoziare strategie comuni. Per lo più sono politiche a somma zero, non portano alcun vantaggio.
Il Report delle Nazioni Unite ne prende atto: ha giudicato inadeguati gli impegni sottoscritti dai Paesi nella Cop26, e stima che l'innalzamento delle temperature da qui alla fine del secolo sarà superiore agli 1.5°C, che è la soglia di sicurezza al di sotto della quale è possibile ancora contenere e gestire gli effetti dei cambiamenti climatici. Al contrario, un aumento anche solo di mezzo grado comporterebbe rischi inarrestabili in termini di ondate di caldo, inondazioni, siccità, distruzione di ecosistemi, scioglimento dei ghiacci e perdita di biodiversità. Le persone colpite dalla distruzione del sistema climatico sarebbero decine di milioni in più, e se è vero che la crisi climatica avrà effetti disastrosi su tutti i paesi, compresa la nostra ricca Europa, e altrettanto vero che avrà effetti ancor più devastanti sui paesi più poveri, con flussi migratori biblici verso terre meno aride e più produttive.
Se non decidiamo di cambiare velocemente la traiettoria del nostro sviluppo i margini di mitigazione a nostra disposizione per arrestare la rapidità con cui avanza la crisi saranno sempre più ridotti. Che senso avrà parlare di sviluppo al futuro se domani i nostri figli e nipoti non potranno goderne in un mondo che si annuncia sempre più invivibile? È tempo di una nuova governance internazionale, è tempo di ridare valore al principio di fraternità che completa e integra il dittico libertà/uguaglianza: senza fraternità la libertà si fa irresponsabile ed egoista, senza fraternità l'uguaglianza appiattisce tutto e mortifica le diversità.
E noi di ANLA quale contributo possiamo dare? Anzitutto un contributo culturale e formativo per far comprendere le sfide che abbiamo davanti, poi la proposta di stili di vita sobri e sostenibili; non ultimo la testimonianza della premura per gli ambienti vicini a noi: è davvero encomiabile l'impegno volontario di molti gruppi a rendere i nostri parchi, le nostre spiagge più belle e pulite, è un segno prezioso di premura e fraternità.
(Crediti fotografici: iStock.com/ Naeblys)
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