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Discernimento

(di Edoardo Patriarca, presidente nazionale ANLA) Fateci caso, forse mi sbaglierò, ma quando la politica esce un po' di scena dal dibattito pubblico, quando cioè non fa più tanta notizia come in questi giorni, i giornali, le riviste, soprattutto i social media dedicano spazio, troppo spazio a mio parere, ad eventi di cronaca nera spesso efferati. Ci si sofferma sui particolari con una morbosità senza senso e inutile a spiegare  quel tragico fatto, utile al contrario per catturare l'attenzione dell'opinione pubblica. In queste settimane siamo stati inondati dalla cronaca di eventi violenti, talvolta crudeli come l'assassinio di Giulia Tramontano: l'accoltellamento dell'insegnante nella scuola superiore di Abbiategrasso, il pestaggio di alcuni poliziotti verso migranti e persone fragili e povere, il turista che fa il bagno a Fontana di Trevi e schiaffeggia la poliziotta che voleva impedirglielo, per citarne alcuni. Violenze che quasi sempre coinvolgono adolescenti o giovani adulti, in gran parte maschi. Cronache dettagliate e aggiornate, giorno dopo giorno, nelle prima pagine di giornali e TG.

Più rari i contributi che avviano una riflessione su questa ragnatela di violenza che sembra avviluppare la vita quotidiana delle nostre comunità, soprattutto nei centri storici delle città. Un clima di insicurezza, forse più percepito che fondato su dati di realtà, che però genera un clima d'incertezza nell'animo soprattutto dei più giovani, nel loro modo di vivere il presente come spazio generativo per  disegnare e desiderare un futuro migliore. 

 

 

Non sarò io a proporvi una riflessione del tempo che stiamo vivendo,  non ne sarei capace,   occorre una capacità di scavo profonda che oggi pochi posseggono, purtroppo. Ma se risulta faticoso a livello personale, lo è più praticabile  come associazione di adulti, insieme, collettivamente. Un compito di discernimento comunitario che dobbiamo svolgere per dovere, quel dovere che rende la nostra vita non un peso ma una promessa avvincente e appassionata di impegno verso le persone e le cose che ci circondano e che amiamo. Se non fosse così che vita sarebbe? 

Non una riflessione articolata, dunque, ma solo qualche spunto che vorrei condividere con voi, arricchita anche dai vostri pensieri che vorrete comunicarci. Un punto mi è chiaro: non possiamo cavarcela dando sempre la colpa al distanziamento sociale indotto dalla pandemia. Troppo facile! È un refrain che - questa è la mia sensazione - nasconde o vuole mascherare un malessere più profondo che  colpisce le nostre comunità.

Mi sono convinto che stiamo vivendo  un tempo povero di proposte educative e di offerte culturali degne di questo nome. L'apparente sovrabbondanza di offerte, sempre lucenti in superficie, nascondono un vuoto contenutistico impressionante, basta  solo scavare un po'. Le ultime ricerche descrivono diffusamente questa povertà tra i minorenni soprattutto, e tra gli adulti analfabeti di ritorno. Qui la prima domanda: una società che non è capace di educare a "mettere a frutto" i talenti di ciascuno, a maturare relazioni affettive e sociali non conflittuali e violente, come potrà dare voce a quel desiderio di felicità innato nei nostri cuori e che ci ha spinto   a immaginare e desiderare un futuro di emancipazione? Non il presente vuoto in un futuro distopico: quello che abbiamo vissuto come adulti è stato un futuro di libertà nella responsabilità, ha animato la passione per l'impegno comune, la dedizione al lavoro ben fatto, la fedeltà alle promesse fatte. Ne siamo consapevoli, è la nostra vita: siamo noi stessi solo se ci sentiamo  parte, unici e irripetibili, di una comunità, nel lavoro, in famiglia, nel fare associazione. 

Quale contributo possiamo dare come associazione di adulti anziani per aiutare il paese a ridare pienezza ai percorsi educativi e di formazione permanente? Anzitutto dando testimonianza della libertà  conquistata nella responsabilità e nel servizio al bene comune presso le nuove generazioni ogniqualvolta le incontriamo. Con umiltà e tanta capacità di ascolto, raccontando  che siamo diventati buoni facendo le cose buone, praticando le virtù civili e una disciplina personale non imposta ma maturata giorno dopo, e con la quale ci siamo attrezzati per discernere ciò che è bene da ciò che non va fatto. A spiegare che l'identità personale non è fondata sulle performance, sull'efficienza, sul numero dei like, ma nel maturare il senso del limite, il desiderio  e l'attesa  del tempo opportuno.  Non solo regali, oggetti in sovrabbondanza con cui riempire la vita, ma più spazio alle parole, al tempo dell'amicizia, alla gratuità e al dono.

E come associazione? Vogliamo essere promotori appassionati di buona cultura ogniqualvolta è possibile, da soli o con altre associazioni, di corsi di aggiornamento, di buon turismo sociale, di volontariato di competenza, di incontri ben preparati nelle scuole...

 

 

(Crediti fotografici: iStock.com/ hallojulie)

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