(di Edoardo Patriarca, presidente nazionale ANLA) La presa di posizione del Presidente Mattarella su quanto sta accadendo ai confini dell'Europa ci invita ad aprire una riflessione sull'accoglienza di persone e famiglie che scelgono di mettersi in viaggio per costruire una vita più degna. È un tema che sappiamo divisivo, sul quale a livello politico si contrappongono posizioni assai diverse ma siamo adulti per bene, abbiamo la responsabilità di non rinunciare alla riflessione in associazione anche su temi controversi, per dare testimonianza che dialogo e confronto, nel rispetto delle diverse opinioni, sono valori per noi irrinunciabili.
Partiamo dai confini.
Abbiamo bisogno di avere confini, anche se in un tempo lontano il mondo di confini non ne aveva. La nostra casa è un confine, protegge la nostra famiglia, e Dio sa come l'abbiamo amata durante la pandemia. I confini (lo statuto, il regolamento, la tessera) dicono chi siamo come associazione, i confini tratteggiano la nostra patria, ci conferiscono una nazionalità e un passaporto, sono ancora i confini che ci garantiscono i diritti di cui godiamo. Ma se i confini diventano barriere invalicabili, separazione tra "noi" e gli "altri", ecco che il confine non ci aiuta ad essere cittadini di una nazione e al contempo cittadini di una comunità globale perché come affermava Montesquieu "sono necessariamente umano, francese per caso". Dopo mesi e mesi di lockdown la casa che ci ha protetto ci è sembrata troppo piccola, ci siamo sentiti reclusi, avremmo voluto aprire porte e finestre. Questo per dire che i confini sono portatori di valori se si fanno attraversare, le frontiere esistono per essere superate, l'intera storia dell'umanità è una storia di "contrabbando". Grazie ai "contrabbandieri" l'idea di scrittura si è diffusa nel mondo; grazie a loro oggi usiamo i numeri arabi, per non parlare delle arti e del cibo; grazie a loro durante la Seconda guerra mondiale abbiamo salvato profughi e perseguitati.
Ne abbiamo discusso anche alla Summer School di Firenze, nei prossimi decenni saremo di fronte a tre grandi faglie: il cambiamento climatico, la transizione digitale e la crisi demografica nei paesi sviluppati, questione poco discussa e ampiamente sottovalutata. Il nostro paese a fine secolo si ritroverà, con gli attuali tassi di natalità, ad essere abitato da meno di 30 milioni di cittadini. Un disastro.
Se sono questi gli scenari che ci attendono è assai probabile che i flussi migratori non potranno che aumentare. E dunque si ripropongono le domande note a tutti noi. Un fenomeno che si configura strutturale come può essere affrontato ancora con una logica meramente emergenziale? Come può un solo paese farsene carico? Non è necessaria e urgente una politica europea che gestisca un fenomeno che si annuncia epocale? Come organizzare un sistema di accesso legale e programmato? Come accompagnare e aiutare le seconde generazioni in un percorso di cittadinanza amichevole che pur nella condivisione dei valori costituzionali si faccia rispettoso delle diversità? Più che una società inclusiva - aggettivo ambiguo perché perpetua l'idea che ci sia chi ha il diritto di includere e chi deve attendere di essere incluso- forse dovremmo parlare di convivialità delle differenze, di reciprocità, di amicizia sociale. Temi complicati e spinosi, lo so bene.
(Crediti fotografici: iStock.com/koekeloer)
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