Come i fari di notte

(di Edoardo Patriarca, presidente nazionale ANLA) Quasi giornalmente assistiamo silenziosi, e a volte ammutoliti, ad un dibattito pubblico che vive di contrapposizioni, di frasi fatte e luoghi comuni, di stereotipi che negano la vita reale, la sua ricchezza e la complessità che l'attraversano. E tutto rimane in superficie, la  vita si presenta piatta e  senza intoppi, veloce e nevrotica. 

Due esempi. Si è parlato per alcuni giorni dell'emergenza democratica  indotta dall'astensionismo (questa sì davvero un'emergenza) alle elezioni regionali, si dichiarano impegni e azioni per recuperare una partecipazione politica sempre più asfittica, ma poi chiuse le urne la questione viene riposta nel cassetto in attesa del prossimo appuntamento elettorale. Oppure si discute confusamente  dell'educazione sentimentale e affettiva dei  ragazzi e delle ragazze come se fossimo nelle curve sud di uno stadio, senza riuscire a mettere davvero a fuoco le sfide educative più urgenti che attendono le famiglie anzitutto, e poi la scuola e le comunità locali nel prendersi cura delle giovani generazioni troppo spesso lasciate sole nel cammino affascinante, complicato, a volte doloroso di costruzione del proprio sé. 

Tutto passa  sopra le nostre teste con ordini del giorno scritti da altri, da coloro che hanno in mano gli strumenti di comunicazione oggi più potenti che mai e che fanno comunicazione. 

Indignazioni, emozioni, commozioni, stupore, immagini di ogni tipo proposte "a go go", i (non) pensieri striminziti raccolti in un centinaio di caratteri da postare e ripostare: tutto scivola veloce nella nostra mente come i fari di una auto di notte puntati sulla strada senza alcuna possibilità di osservare il resto o di alzare lo sguardo. 

Ma è possibile per noi scrivere ancora ordini del giorno per orientare la  vita personale, familiare e sociale nella direzione che pensiamo sia giusta e vera? È possibile nel  quotidiano scegliere un'agenda di speranza che si confronta con la realtà vera, non con  quella virtuale ed emozionale nella quale siamo immersi? 

La risposta c'è la siamo data nei numerosi incontri che ANLA ha promosso in questi mesi, non ultimo il convegno promosso a Trieste da ANLA Fincantieri. La parola chiave che abbiamo scelto di mettere al centro delle riflessioni della vita associativa è "relazione", parola che vogliamo recuperare alla pienezza del suo significato, spirituale e sociale. 

Non siamo al mondo per nostra scelta, siamo frutto di una relazione; siamo noi stessi attraverso l'incontro con l'altro; cambiamo e ci trasformiamo  nell'arco della vita nel reciproco prenderci cura; nella relazione   scopriamo il valore della pace e facciamo esperienza di riconciliazione e di perdono. Possono sembrare affermazioni ideali ovvie e scontate ma oggi non lo sono più. La connessione permanente che viviamo attraverso i social media ci convince di vivere, soprattutto i giovani, in un "pieno" di relazioni sociali, relazioni persino globali. Ma non è così, in realtà crescono solo solitudini, tante e troppe solitudini che si propagano rendendoci passo dopo passo incapaci di una vera e autentica grammatica delle relazioni. Prevale al contrario la grammatica mortifera della mito della vita "slegata"  nel nome di una presunta libertà che porta al narcisismo, ad un individualismo cinico che vede soltanto le proprie esigenze. Il desiderio che anima la vita di ognuno non è più la ricerca del mistero nel volto degli altri ma il possesso di cose e di oggetti, o peggio il possesso dell'altro, del suo corpo.

La sfida che abbiamo davanti a noi è quella di sempre: continuare a praticare e se necessario a difendere la grammatica dei legami, del legarsi nella libertà e nella reciprocità. È anche la missione della nostra associazione, una storia di legami.

(Crediti fotografici: iStock.com/ umbertoleporini)