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Che sia presto domani

(di Edoardo Patriarca, presidente nazionale ANLA) Le crisi che si sono succedute nei primi decenni del secolo - l'attentato alle Torri Gemelle, le crisi economiche del 2008 del 2011, la crisi pandemica e la guerra in Ucraina - ci impegnano a progettare  il futuro che vogliamo e che desideriamo pensando in primis alle bambine e ai bambini, ai giovani del Mezzogiorno spesso costretti  ad emigrare; si parla  di immigrazione dimenticando spesso che  tutt'ora siamo un paese di emigranti.  

Non siamo di fronte ad una   delle cicliche crisi che attraversano il nostro sistema economico, sempre superate   continuando ad investire su   un modello di sviluppo oramai  giunto al capolinea. Ora siamo di fronte ad un cambiamento epocale, ad una scelta di futuro né ovvia né scontata: ecco perché a "ripartenza" preferiamo  "ricominciamento", come spesso hanno scritto alcuni opinionisti.

Quali sono a nostro parere gli occhiali che dobbiamo inforcare per guardare in avanti?

Anzitutto incoraggiando una progettualità prospettica, come hanno dichiarato i vescovi riuniti a Benevento: per leggere la realtà  abbiamo bisogno  di nuovi occhi e di nuove lenti senza i quali i problemi non vengono visti per quello che sono, si sopravvaluteranno alcuni aspetti   sottovalutandone altri e le risposte saranno improvvisate e provvisorie,   inseguiranno gli eventi senza mai sollevare lo sguardo oltre la contingenza. Quali sono gli ingredienti essenziali per innescare un processo virtuoso di costruzione del futuro? Ne elenco alcuni. 

In primis, ritessere fiducia: ci si mette in viaggio solo se i costruttori   si fidano l'uno dell'altro, se hanno maturato   visione e  regole di comportamento comuni, se condividono progetti generativi non più affidati a meccanismi e traiettorie consumate e prevedibili. Il futuro non si prevede, si fa con le idee, convincendo i compagni di viaggio della loro fondatezza, investendo e ripartendosi il rischio.

Se la fiducia è uno dei pilastri della costruzione, gli investimenti non dovranno essere solo efficienti nell'utilizzo dei mezzi - penso al PNRR - ma puntare   anche sulla rigenerazione dei legami sociali,   sulle persone e sulle comunità. I legami e le idee sono il tessuto che hanno fatto crescere il Made in Italy sui territori, un movimento nato dal basso che ha messo a frutto la nostra straordinaria capacità di trasformare le idee  in legami,  e i  legami in idee sedimentate in quel  capitale sociale che le comunità locali mettono a disposizione   gratuitamente per tutti coloro che vogliono intraprendere. 

Le persone sono state emarginate dalle filiere produttive: gli imprenditori  sono sostituiti da azionisti distaccati dalla pratica operativa o  da manager messi ad amministrare i mezzi ma non interessati ai fini, i lavoratori sono ridotti a ruoli esecutivi lasciando in ombra le loro  capacità creative e i consumatori a loro volta sono ridotti  a entità passive.  Questa deriva verso la spersonalizzazione ha fortemente impoverito la capacità dell'impresa di pensare il nuovo e di utilizzare l'intelligenza delle persone come fonte di giudizio e di creatività. Occorre dunque rimettere   al centro comunità e persone, soprattutto i processi di formazione di quella intelligenza collettiva che ha reso possibile il miracolo italiano:  l'alveare, come mostrano gli studiosi della complessità, è più intelligente delle singole api che lo abitano.

Abbiamo bisogno di investire in innovazione, quella che dura nel tempo, che genera e non dissipa energie, e si propaga dal basso per ricercare nuove forme e nuovi percorsi di sviluppo sostenibile. La sostenibilità è le altre parole chiave per pensare al futuro. Per troppo tempo si è sostenuto che sostenibilità e competitività fossero incompatibili, convinti erroneamente che un  sistema economico sopravvive nella lotta competitiva usando in modo dissipativo e a costo zero le risorse ereditate, consumando l'ambiente naturale e sociale che ha a disposizione. La crescita delle quantità sintetizzato dal PIL, dalle parole d'ordine dell'usa e getta e del just in time sono diventate, senza che ce ne accorgessimo, le divinità attorno a cui ha ruotato la vita di tutti noi. Ci abbiamo creduto, ahimè, ma ora ci attende - lo spero - la stagione della qualità, della bellezza, della solidità. Solo comunità responsabili e consapevoli potranno dare valore alla sostenibilità: dei prodotti, dei processi produttivi, degli insediamenti  territoriali, del rapporto con il paesaggio e con le ecologie naturali.

 

 

(Crediti fotografici: iStock.com/ Dilok Klaisataporn)

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