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Catastrofe

(di Edoardo Patriarca, presidente nazionale ANLA) La parola che meglio definisce quello che è accaduto in Romagna è catastrofe: umana, sociale, ambientale ed economica. La sua etimologia (dal greco katà giù e stréphein voltare) significa rivolgimento,  rovesciamento, interruzione di un equilibrio. Nel nostro linguaggio porta con sé due significati: quello di disastro - è l'abbinamento più frequente - e quello di svolta repentina, di una opportunità per illuminare la storia di una comunità e il suo futuro. Vorrei indagare su questo secondo corno. Lo so, di fronte al disastro  vi potrà apparire fuori luogo, un esercizio intellettuale di chi quel disastro non lo sta vivendo. Eppure lo sento urgente perché penso che, dopo il tempo del lutto, della generosità, dell'aiuto dei volontari, del sostegno delle istituzioni pubbliche, usciti dalla emergenza dovremo pensare a ricostruire.

Dunque, se catastrofe non è solo disastro ma l'opportunità di una svolta, di una radicale torsione dello sguardo, il territorio che abbiamo abitato dovrà rinascere trasformato e ripensato con nuovi parametri per la ricostruzione. Solo così nulla verrà sprecato: le macerie, il dolore e il lutto, saranno materiali e memorie indispensabili per agire una diversa prospettiva. Non quella moderna, antropocentrica, che pretendeva di dare un fine a tutto, e di dominare su tutto: il viaggio degli umani su questa terra dovrà essere più accogliente e gentile con tutte le forme viventi e l'intero ecosistema.

Si tratta tuttavia di un passaggio rischioso e non scontato che ha bisogno del pensiero e del sostegno delle generazioni anziane, quelle che - a noi piace dire - sono venute prima. 

Il primo rischio che corriamo in questo tempo di crisi permanente è la negazione della realtà: anche noi partecipiamo al coro  che "la colpa è tutta nostra",   di tutti e quindi - aggiungo - di nessuno. Senza rendercene conto appanniamo il principio di responsabilità che porta all'inerzia, alla pigrizia mentale, all'incuria, a disinteressarci dei provvedimenti da adottare, ad accomodarci alla regola del "non nel mio giardino" che  inconsapevolmente domina i nostri atteggiamenti.

Guardiamo in faccia la realtà, dunque, senza sconti. Negare  con uno sbuffo stizzito la crisi climatica e ambientale oramai acclarata da tutti gli organismi internazionali non fa bene al futuro; pensare, come abbiamo sempre creduto, che la tecnologia avrebbe risolto tutto e ci avrebbe consentito di sfruttare le risorse del pianeta che pensavamo illimitate, è un azzardo irresponsabile.

Azzardo generativo è invece rideclinare il principio di bene comune,  citazione retorica e tanto usurata da produrre l'effetto contrario, da res pubblica res nullius, di tutti e quindi di nessuno, o forse meglio dire di chi se ne appropria per un uso privato. L'eccesso di individualismo e di privatismo hanno depauperato il patrimonio di beni comuni senza i quali il genere umano e il pianeta  non possono sopravvivere. Si tratta davvero di avviare una trasformazione profonda del nostro modello di sviluppo che noi stessi abbiamo avvallato. Gli esempi non mancano: la cementificazione ha reso le grandi città sempre più invivibili; le colline e le terre alte, i boschi e l'arte di coltivare e allevare in modo sostenibile, rischiano l'abbandono; la deforestazione delle pianure, il sovraffollamento delle aree costiere sono sotto i nostri occhi tanto da far diventare l'Italia uno dei paesi più costruiti al mondo, con troppa gente sulle coste e sulle pianure, e nessuno sulle terre alte.

Come cambiare? Con la politica, la buona politica: non abbiamo altri strumenti. Una politica che coinvolga tutti e tutto, i singoli cittadini, l'associazionismo, le imprese, le istituzioni; una politica animata dalla cultura della speranza, dalla ricerca di un destino condiviso e dal "pensare per pericoli", ovvero con capacità di prevenzione e manutenzione costanti e durature.

Non ultimo, non possono mancare le nostre scelte personali e quotidiane impregnate di amore per la bellezza e la cura del nostro habitat e del paesaggio, e di gesti di premura nell'uso responsabile dell'acqua e del cibo, nella mobilità sostenibile, nel rispetto delle   regole della gestione domestica dei rifiuti. Una spiritualità laica, da cittadini vigili sul presente e tenaci nel pensare il futuro. 

Noi non abbiamo conosciuto le catastrofi provocate dalle guerre, i nostri genitori sì: sapevano che quello che appariva in quel momento, una catastrofe terribile,   avrebbe rivelato un fine, una speranza di futuro. Ed è accaduto.

 

 

(Crediti fotografici: Federico Germani)

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