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Autonomia differenziata

(di Edoardo Patriarca, presidente nazionale ANLA) Lo scorso 2 Febbraio è  stato approvato dal Consiglio dei Ministri il disegno di legge (DdL) quadro sulla autonomia differenziata. La legge si propone di definire le procedure per la concessione da parte dello Stato alle Regioni a statuto ordinario di "ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia" sulle funzioni di spesa specificatamente indicate dalla Costituzione nell'articolo 117. 

La forze politiche di opposizione insieme ad alcuni settori della maggioranza, nonché alcuni Presidenti di Regione, ne hanno evidenziato da subito rischi e limiti, in primis l'indebolimento del principio di solidarietà alla base da sempre del rapporto tra Regioni a statuto ordinario e  lo Stato. Il meccanismo attuale ci è noto: le Regioni trasferiscono allo Stato gran parte delle risorse generate sul proprio territorio e lo Stato le spende per politiche uguali su tutto il Paese consentendo una redistribuzione dalle Regioni più ricche a quelle meno ricche. L'omogeneità delle politiche di spesa ha solo una eccezione che è la sanità: il modo con cui vengono spese le risorse è deciso dalle  Regioni sottoposte al vincolo costituzionale di garantire i livelli essenziali delle prestazioni (Lep). Anche in questo caso il principio di solidarietà viene rispettato:   le risorse sono distribuite in base al numero degli abitanti e al tasso di anzianità, e non in base alle imposte versate dai singoli cittadini di quella Regione. Insomma, la spesa è decentrata ma non lo è il suo finanziamento

Quali sono i punti su cui si è aperto il confronto politico? Sostanzialmente sono due: la definizione dei Lep e i costi per garantirli su tutto il territorio nazionale.

Come da Costituzione, la determinazione dei principi fondamentali, la definizione e la stima dei livelli essenziali delle prestazioni spettano allo Stato, operazione assai complessa che richiede tempo, dati e informazioni piuttosto dettagliate. Qui il primo elemento di criticità: difficile fare tutto nello spazio di  pochi mesi come prevede il ddl, utilizzando tra l'altro  un DPCM, strumento normativo "debole", poco partecipato, e con un coinvolgimento ridotto del Parlamento.

Ipotizziamo pure che li si possa  stilare nei tempi previsti per tutte le funzioni (ne sono previste potenzialmente 23) su cui una Regione  potrebbe chiedere l'autonomia di spesa: rimane sulla via un macigno enorme, e cioè il reperimento delle risorse necessarie per finanziarli

Su questo punto lo schema del DdL è contraddittorio: da un lato   stabilisce che, qualora dalla determinazione dei Lep derivino nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, si potrà procedere al trasferimento delle funzioni solo successivamente all'entrata in vigore dei provvedimenti legislativi di stanziamento; dall'altro lato si dice che l'applicazione della legge e delle conseguenti intese non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, e che è garantita l'invarianza finanziaria per le  Regioni che non sono parte dell'intesa. Sembrerebbe che la riforma si possa realizzare senza ulteriori oneri per la finanza pubblica: sappiamo tutti che questo è uno scenario inverosimile.

Tre esempi. Cosa succede se la stipula di una intesa conduce ad un fabbisogno di risorse superiore a quello attualmente impiegato dallo Stato per fornire gli stessi servizi alla Regione? Ovvio che le risorse aggiuntive si dovranno trovare all'interno del bilancio dello Stato aumentando le aliquote sui tributi erariali o riducendo la spesa dello Stato nei settori di sua competenza. È una via politicamente praticabile? Oppure, se la spesa storica nelle Regioni che chiedono l'autonomia fosse superiore a quanto sarebbe necessario in base alle stime dei fabbisogni, è realistico immaginare un taglio di punto in bianco di risorse al bilancio regionale? Non ultimo: l'art. 5 comma 2 prevede il finanziamento  anche attraverso la compartecipazione al gettito di uno o più tributi erariali maturati sul territorio regionale. È ragionevole pensare che la dinamica  dei gettiti compartecipati sarà molto diversa da Regione a Regione; se ne deduce che lo Stato  sarà chiamato ad intervenire per sostenere le Regioni i cui gettiti compartecipati saranno insufficienti: con quali risorse?

Se non si chiarisce il nodo risorse ci potremmo trovare di fronte ad un vera e propria catastrofe dei bilanci pubblici, e ad una frattura inaccettabile dell'unità del Paese.

Come ANLA ci auguriamo che il ddl Calderoli divenga l'occasione per un dibattito parlamentare  serio sulla definizione dei  livelli essenziali delle prestazioni  e sui costi per implementarli. Sia anche l'occasione per aggiustare gli effetti indesiderati provocati dalla revisione frettolosa del titolo V della Costituzione operata nel 2001, introducendo una clausola  di supremazia che consenta allo Stato di intervenire di fronte alle crisi e alle emergenze, e l'istituzione di una sede di confronto e di coordinamento Stato Regioni che superi la pur utile Conferenza attualmente prevista. Non ultimo, coraggiosamente si avvii una riflessione sulle 23 materie per le quali è possibile chiedere l'autonomia: sono passati più di 20 anni dalla riforma, nel frattempo è cambiato il mondo, e oltre ai settori sin da allora   apparsi problematici come salute e scuola,   ne vanno aggiunti altri - per esempio nel campo delle infrastrutture, dell'energia, del cambiamento climatico - che oggi richiedono una gestione unitaria e per nulla differenziata. Il Pnrr ce lo sta insegnando.

 

 

(Crediti fotografici: iStock.com/ Reservoir Dots)

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