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Appunti di spiritualità

(di Edoardo Patriarca, presidente nazionale ANLA) Alcuni filosofi descrivono la società odierna come la  "società della sopravvivenza", dedita più ad allungare la vita piuttosto che ad impegnarsi a vivere bene e a dedicarsi a ciò che rende la vita degna di essere  vissuta. Mi direte: che c'è di male? La sopravvivenza è una reazione istintiva, quasi naturale al nostro sentirci creature finite; e poi, a dirla tutta - mi direte ancora - la distinzione tra sopravvivere e saper vivere  è assai tenue. 

Ma a ben pensarci la differenza c'è ed è sostanziale. Vorrei parlarne partendo da una metafora, quella del nuoto: nuotare per sopravvivere è una cosa (ci si agita scompostamente, ci si aggrappa a tutto, anche a chi ti è vicino, fino a mettere a rischio la sua vita); nuotare per raggiungere un traguardo, per partecipare ad una finale, è altro (chiede stile, preparazione, passione, fatica, determinazione e la messa in conto  della sconfitta).

La metafora del nuoto mi aiuta ad approfondire alcuni tratti della "vita in sopravvivenza", oggi tanto pervasiva da rendersi invisibile ai nostri occhi. Il Piccolo Principe di Saint-Exupéry scrive che l'essenziale è invisibile agli occhi, ed è vero: lo zaino da sopravvivenza è pieno di oggetti spesso invisibili  e minuti, eppurepresenti nella nostra esistenza e in quella   dei giovani tanto da condizionarla profondamente. 

Ve ne propongo alcuni. 

Il primo, tanto pervasivo da rendersi appunto invisibile, è sopravvivere (e non vivere) al processo di  invecchiamento che, vale la pena ricordarlo, è parte della nostra umanità. La vita in sopravvivenza ci spinge a rincorrere, sin dalla prima gioventù, la bellezza stereotipata dell' influencer di turno, la perfetta forma fisica (gli addominali lisci e scolpiti o i glutei sodi), il corpo efficiente e prestante. Diventiamo passo dopo passo zombie della prestazione a tutti i costi, del fitness e del botulino, delle diete fai da te, degli integratori, delle creme miracolose per il viso. Se non sei all'altezza delle prestazioni richieste  la colpa sarà solo tua, perché non sei adeguato, non sei al top: per reazione   inizierai a fare la guerra   a te stesso (la depressione, la bulimia, la anoressia...)  prima che agli altri.  Insomma la parola invecchiamento non può esistere nel dizionario di sopravvivenza. 

Stress, isteria, nevrosi sono invece le   manifestazioni invisibili di una vita-non vita che non sa accogliere la "bellezza che non svanirà", la bellezza che "non avrà timore di guardarsi allo specchio, e non ne riceverà offesa". È la bellezza generativa e "rugosa", opposta alla bellezza da sopravvivenza che deve apparire invece levigata, senza sbavature, come l'intera società: una collettività liscia, senza intoppi, amante dell'eguale a se stessi, che cela la fragilità perché ostacolo al libero fluire delle emozioni. Si diventa vuoti e apatici, indifferenti e cinici, timorosi di ferire e di essere feriti, camuffati dietro il selfie auto celebrativo, il "mi piace" , il Twitter o la rincorsa al bisogno indotto dal flusso continuo di comunicazioni, già vecchio prima ancora di essere soddisfatto. Ma la vita-vita non è una superficie levigata:   è gioia, passione, innamoramento, dolore, fatica, specchiamento nell'altro radicalmente diverso da me, diverso dallo specchio della matrigna raccontato nella favola di Biancaneve. 

Concludo con un cenno su un'altra dimensione invisibile della "vita sopravvissuta": siamo portati ad accumulare per accumulare; forse lo facciamo per sfuggire al tempo che passa, non a caso diciamo che "il tempo è denaro". Accumuliamo illudendoci di mancare l'appuntamento con la morte. Mi obietterete che  tutto ciò rientra nell'istinto (sano) di ogni persona a cercare di vivere il più a lungo possibile. È vero, ma il rifiuto interiore a negare il morire distrugge ogni presenza vitale: la "presenza" della morte, la consapevolezza della caducità della vita al contrario ci spinge alla novità, alla passione, a cogliere tutti i momenti che la vita ci pone davanti, ci rende "sovversivi". Solo restituendo la morte alla vita ci riprenderemo la vita, una vita degna di essere vissuta, una vita "persa" per le persone che abbiamo amato, incontrato, a volte combattuto. Una vita "limitata" e caduca, e per questo viva e aperta al mistero che ci avvolge. 

E chi può testimoniarlo con dolcezza se non noi, le persone anziane, quelli che sono venuti prima? 

 

(Crediti fotografici: iStock.com/Poike)

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