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Alternanza scuola-lavoro: una inutile perdita di tempo?

(di Edoardo Patriarca, presidente nazionale ANLA) Dopo la morte di Lorenzo Parelli,  gli studenti si sono fatti sentire più volte per chiedere "di scardinare alle radici questo sistema di scuola-lavoro basato sullo sfruttamento della manodopera studentesca e sulla formazione aziendale a carico dell'istruzione pubblica".  "Noi studenti - spiegano gli organizzatori delle proteste - subiamo l'imposizione di stage non pagati obbligatori presso aziende che dietro alla proposta di esperienze 'formative' spesso non nascondono altro che lo sfruttamento".  Vediamo di  chiarirci le idee, con un punto fermo in partenza: nessuno, né tantomeno un giovane, deve morire sul lavoro. Conosciamo i dati piuttosto tragici sul numero delle vittime, come ANLA non ci stancheremo di ribadire l'urgenza di fare della sicurezza  uno degli asset principali per dare al lavoro la dignità che merita. 

Oggi l'acronimo che battezza lo strumento Alternanza scuola-lavoro è Pcto (percorsi per le competenze trasversali e l'orientamento), la versione data dal primo governo Conte che ha ridotto le ore   previste dalla riforma della "buona scuola" voluta dal governo Renzi. L'alternanza scuola-lavoro è una metodologia didattica presente da tempo nella scuola italiana, è stata  istituita dalla Legge n.53/2003 e disciplinata dal Decreto Legislativo n.77/2005. Si rivolge agli studenti delle scuole secondarie di  secondo grado, ai quali permette di alternare momenti di formazione in aula e in azienda.

Gli obiettivi, sulla carta, sono ben definiti, ne accenno alcuni:  ridurre il divario tra le competenze in uscita dal sistema educativo e le competenze richieste dal mondo del lavoro; favorire l'orientamento consentendo a ciascun studente di individuare le proprie attitudini, anche in vista delle scelte successive di tipo sia scolastico sia professionale; permettere alla scuola di accrescere il suo prestigio e il ruolo  nel territorio. Per la progettazione la scuola individua una nuova e specifica figura di riferimento: il responsabile dell'alternanza, che ha il compito di gestire il rapporto con le imprese e di coordinare i tutor scolastici che operano in stretto collegamento con i tutor aziendali. 

Dal canto loro le imprese riscoprono la propria capacità formativa  stabilendo una vera e propria "alleanza educativa"con la scuola; migliorano le relazioni  con il territorio circostante e aumentano la responsabilità sociale nei confronti degli stakeholders (comunità locale, istituzioni, sindacati dei lavoratori ecc.).

Se gli obiettivi sono definiti rimangono tuttavia tante,  troppe, le criticità ancora irrisolte.

Per usare una metafora possiamo dire che l'alternanza scuola- lavoro è un matrimonio mai celebrato. La scuola ha le sue difficoltà di progetto come pure le imprese, poco aiutate e sostenute. Ancora oggi l'alternanza scuola- lavoro è percepita come questione che riguarda la scuola, ben poco è nei pensieri delle imprese. Per costruire esperienze formative autentiche Il matrimonio si fa in due. La scuola possiede e potrebbe mobilitare risorse formative (con più risorse); le aziende al contrario non ne posseggono, stentano a pensarsi luoghi formativi, ad attivare tutoraggi seri dei giovani presenti. Per questo le imprese, specie le PMI, hanno bisogno di sostegni (economici e normativi) per essere davvero coinvolte nelle fasi dell'alternanza che , se fatta bene, è una attività onerosa di co- progettazione, di gestione e  co-valutazione, di formazione dei tutor aziendali. Il dilettantismo o l'approssimazione non sono tollerabili in un progetto formativo serio rivolto agli studenti. Stiamo sognando? Nel nord Europa le aziende che si "fanno laboratorio" sono riconosciute pubblicamente, sono aiutate e controllate, e l'alternanza scuola-lavoro funziona, e bene.

Concludo. Da queste brevi riflessioni risulta che la progettazione  dei "pcto" richiede una organizzazione complessa che oggi appare  assai fragile, dobbiamo ammettere che siamo ancora in una fase di sperimentazione: ci troviamo di fronte ad esperienze di eccellenza tra scuole e aziende  (poco raccontate), e ad esperienze inutili,  scarsamente collegate all'indirizzo di studio, parcheggi o peggio sfruttamento. Gli studenti hanno ragione ma attenzione ragazzi a non buttare l'acqua sporca con il bambino. 

 

(Crediti fotografici: iStock.com/ industryview)

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