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Accettare di invecchiare è un pensiero da giovani

(di Edoardo Patriarca, presidente nazionale ANLA) La settimana passata, dopo l'ultimo editoriale scritto per la nostra newsletter, è stata sorprendente, ricca di incontri e di riflessioni. A Roma, tra venerdì e sabato, si è tenuto l'ultimo consiglio direttivo che conclude la consigliatura di questo triennio dando  avvio al percorso associativo che porterà entro l'anno, con le modalità previste dallo Statuto e dal Regolamento, al rinnovo degli organismi nazionali. Come non ricordare l'incontro che gli amici di ANLA Tolmezzo hanno organizzato nella sala consiliare del comune per discutere e affrontare i temi legati alla vita buona e al benessere nella stagione anziana. Altrettanto   posso dire della conversazione tenutasi a Modena, organizzata da un circolo culturale parrocchiale, per fare il punto sulla legge 33 del 2023 di Riforma delle politiche di assistenza per le persone anziane non autosufficienti e per l'invecchiamento attivo. E poi si aggiungeranno tutti gli incontri e i viaggi di comunità già programmati nei prossimi mesi.

La partecipazione a convegni e incontri sono per me l'occasione per riprendere quella traccia di pensiero che in questi anni di Presidenza ho cercato di proporre a nome di tutta Anla. Spiegare cioè quale fosse l'approccio spirituale, culturale e sociale del nostro stare insieme nella stagione della anzianità. Non quello più frequente delle lamentazioni, del ricordo "malato" del tempo passato, o del rivendicazionismo corporativo dei diritti acquisiti. Abbiamo scelto un altro profilo: il dovere di sognare il futuro assieme ai giovani, la difesa dei diritti sociali,  non solo quelli delle persone anziane, ma i diritti di tutti. Difendiamo il diritto alla salute per noi e per le nuove generazione, lo difendiamo non per autodifesa ma perché il diritto alla salute è sancito nella carta costituzionale ed è il  diritto, il fondamentale, che riconosce la vita e la dignità della persona. Uscendo dal politicamente corretto della terza e quarta età, abbiamo difeso e recuperato il valore della parola anziano nella sua bellezza e profondità e contrastato quel sentimento di rassegnazione che talvolta prende il nostro cuore quando constatiamo che  i valori in cui abbiamo creduto  oggi ci appaiono offuscati da una ideologia pervasiva che ha fatto credere che il consumo per il consumo, che i desideri senza limiti, che la libertà egocentrica senza alcuna responsabilità verso gli altri, fossero la nuova versione delle magnifiche sorti e progressive di leopardiana memoria.  

 

Abbiamo scelto di stare da un'altra parte. Qualche autore quando parla di anzianità, o più semplicemente di vecchiaia, la definisce l'età grande: grande per il numero degli anni e per l'esperienza maturata, grande perché si trova a vivere una stagione carica di prove che non ha eguali in quelle vissute nelle altre fasi della vita, grande perché è la stagione nella quale abbiamo più consapevolezza di noi stessi e delle nostre fragilità. Quali frutti può ancora produrre questa età grande? Non scimmiottando una immagine artefatta e falsa di giovinezza che è dovere lasciar  vivere ai giovani in pienezza: non rubiamo anche questa dimensione... i ragazzi e le ragazze hanno un bisogno immenso di incontrare adulti significativi, e non adulti adolescenti e infantili. Quanti se ne vedono in giro... fanno davvero tristezza. Non potete immaginare i miliardi di investimenti di grandi network mondiali e della ricerca medica per promuovere il mito dell'eldorado della longevità. Ma siamo e saremo sempre essere finiti, vivremo di più ma siamo sempre e comunque esseri mortali. Un primo frutto, più prezioso di quanto appaia, è la consapevolezza per noi sempre più evidente giorno dopo giorno, che la vita finisce. Sembra una ovvietà ma non lo è. La consapevolezza di una fine ci spinge a dare maggiore valore agli anni e ai giorni che ci restano, ci sollecita a viverli in pienezza restituendo quel senso che molte volte durante la vita più giovane ci era sfuggito. E non è questa una bellissima testimonianza da offrire alle giovani generazioni? Un altro frutto da donare è la promozione della cura  della vita che noi cerchiamo su noi stessi ma che oggi appare carente in ogni dove nella attuale società, distratta e cinica. Non ultimo, nella grande età abbiamo scoperto il valore delle relazioni, intimoriti dalla solitudine che circonda tanti. È un altro frutto dell'età grande da donare lottando per un tessuto sociale più accludente, progettato per facilitare relazioni amicali. E qui entra in gioco il nostro fare associazione, quella dimensione che ci fa sentire appartenenti a un gruppo di amici, per continuare ad essere curiosi verso il mondo e godere anche dei piaceri dello stare insieme.  

La pubblicità della longevità per sempre propone lo slogan "accettare di invecchiare è un pensiero da vecchi". Ecco il nostro slogan è rovesciato "Accettare di invecchiare è un pensiero da giovani".

 

 

(Crediti fotografici: iStock.com/PeopleImages)

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